Entra il
CORO
CORO -
Ormai la vecchia fiamma di
Romeo
è sul letto di morte,
e un nuovo amore
aspira a coglierne la successione.
La bella per la quale trepidava,
e dichiarava di voler morire,
confrontata alla tenera Giulietta
più non appare bella
agli occhi suoi.
Ora Romeo ama ed è
riamato:
stregati, l'uno e l'altra,
dall'incanto
dei loro sguardi, ch'altro
egli non può
se non che sospirare da lontano
per colei ch'è supposta
sua nemica;
e lei rubar la dolce esca
d'amore
dalle punte di paurosi ami.
Egli essendo tenuto per nemico,
non può assolutamente
avvicinarla
per sospirarle i voti che
gli amanti
si sogliono scambiare.
Ed ella, al par di lui innamorata,
assai meno di lui ha mezzi
e modo
d'incontrarsi col suo giovane
amante
in qualche luogo. Ma la lor
passione
presta loro la forza, il tempo
e i mezzi
per potersi comunque avvicinare,
e stemperare con dolcezze
estreme
l'estreme loro pene.
(Esce il
Coro)
SCENA I - Verona, sentiero
lungo il muro che cinge
l'orto dei Capuleti. Notte
Entra ROMEO correndo; all'improvviso
si ferma.
ROMEO -
Come posso procedere più
innanzi,
se il mio cuore è là
dentro?...
Su, tornatene indietro, terra
inerte,
e riprendi il tuo centro!
(S'arrampica
sul muro, lo scala e salta
al di là, nell'orto
dei Capuleti)
Entrano
BENVOLIO e MERCUZIO
BENVOLIO -
(Chiamando)
Olà, Romeo, cugino,
dove sei?
MERCUZIO -
È furbo, quello; è
ritornato a casa,
e s'è schiaffato a
letto, credi a me.
BENVOLIO -
Macché, l'ho visto
correre di qua
e scavalcare il muro di quest'orto.
Dagli voce anche tu, mio buon
Mercuzio.
MERCUZIO -
Anzi, lo evocherò come
uno spirito.
(Come facendo
il negromante)
Romeo!... Capricciosone!...
Testa pazza!...
Passione! Innamorato!... Fatti
vivo,
almeno sotto forma d'un sospiro.
Rispondi solo con due versi
in rima,
o grida solo "Ahimè!",
sussurra solo "bella"...
o "colombella",
rivolgi una gentile paroletta
all'indirizzo di comare Venere,
chiama con un qualunque soprannome
il suo figlio bendato,
magari chiamalo "Cupido-Adamo",
che scoccò così
bene la sua freccia
per far innamorare il re Cofétua
della mendica verginella...
Bah!...
Non sente, non risponde, non
si muove...
La scimmia è morta,
ed io debbo evocarla:
pei fulgidi occhi della Rosalina,
per la sua bella fronte alta
e spaziosa,
per le sue labbra rosso-porporine,
per il suo bel piedino,
per le sue snelle, ben tornite
gambe,
per le sue chiappe, che son
tutte un fremito,
con i loro mirabili dintorni,
ti scongiuro, Romeo, di comparire
innanzi a noi nel tuo vero
sembiante.
BENVOLIO -
Se t'ha udito, l'hai fatto
andar in bestia.
MERCUZIO -
Non è questo che può
mandarlo in bestia.
Ci andrebbe, invece, se con
gli scongiuri,
facessi comparire un qualche
spirito
da non so qual bizzarra provenienza
nel cerchio magico della sua
bella,
e lo lasciassi là,
ritto impalato,
fintanto ch'ella non fosse
riuscita
a sua volta, coi debiti scongiuri,
a piegarlo e forzarlo a ritirarsi.
Questo sì lo farebbe
indispettire.
Ma adesso, questa mia invocazione
è leale ed onestamente
intesa:
lo scongiuro perché
si faccia vivo
in nome della sua innamorata.
BENVOLIO -
Dev'essersi nascosto tra quegli
alberi
per intonarsi con l'umida
notte.
L'amore è cieco, e
il buio gli si addice.
MERCUZIO -
Se è cieco, non può
cogliere la mira.
Starà invece seduto
sotto un nespolo
ad augurarsi che la sua ragazza
sia magari quel genere di
frutto
che le fanciulle, quando voglion
ridere
chiamano appunto nespolo.
Oh, Romeo,
se davvero ella fosse... s'ella
fosse
una... eccetera... aperta,
e tu una pera
di Poperin!... Buona notte,
Romeo:
io vado alla mia branda: questo
prato
è un letto troppo freddo
per dormirci.
Benvolio, ce ne andiamo?
BENVOLIO -
Andiamo, andiamo. Tanto è
tutto inutile
andare alla ricerca di qualcuno
che ha deciso di non farsi
trovare.
(Escono)
SCENA II - Verona, il verziere
dei Capuleti
Entra ROMEO
ROMEO -
Si ride delle cicatrici altrui
chi non ebbe a soffrir giammai
ferita...
GIULIETTA
appare a una finestra
Oh, quale
luce vedo sprigionarsi
lassù, dal vano di
quella finestra?
È l'oriente, lassù,
e Giulietta è il sole!
Sorgi, bel sole, e l'invidiosa
luna
già pallida di rabbia
ed ammalata
uccidi, perché tu,
che sei sua ancella,
sei di gran lunga di lei più
splendente.
Non restare sua ancella, se
invidiosa
essa è di te; la verginal
sua veste
s'è fatta ormai d'un
color verde scialbo
e non l'indossano altre che
le sciocche.
Gettala via!... Oh, sì,
è la mia donna,
l'amore mio. Ah, s'ella lo
sapesse!
Ella mi parla, senza dir parola.
Come mai?... È il suo
occhio
che mi discorre, ed io risponderò.
Oh, ma che sto dicendo...
Presuntuoso
ch'io sono! Non è a
me, ch'ella discorre.
Due luminose stelle,
tra le più fulgide
del firmamento
avendo da sbrigar qualcosa
altrove,
si son partite dalle loro
sfere
e han pregato i suoi occhi
di brillarvi
fino al loro ritorno... E
se quegli occhi
fossero invece al posto delle
stelle,
e quelle stelle infisse alla
sua fronte?
Allora sì, la luce
del suo viso
farebbe impallidire quelle
stelle,
come il sole la luce d'una
lampada;
e tanto brillerebbero i suoi
occhi
su pei campi del cielo, che
gli uccelli
si metterebbero tutti a cantare
credendo fosse finita la notte.
Guarda com'ella poggia la
sua gota
a quella mano... Un guanto
vorrei essere,
su quella mano, e toccar quella
guancia!
GIULIETTA -
(Come avesse sentito un rumore,
o forse assorta in tristi
pensieri, sospirando)
Ahimè!...
ROMEO -
(Tra sé)
Dice qualcosa... Parla ancora,
angelo luminoso, sei sì
bella,
e da lassù tu spandi
sul mio capo
tanta luce stanotte
quanta più non potrebbe
riversare
sulle pupille volte verso
il cielo
degli sguardi stupiti di mortali
un alato celeste messaggero
che, cavalcando sopra pigre
nuvole,
veleggiasse per l'infinito
azzurro!
GIULIETTA -
Romeo, Romeo! Perché
sei tu Romeo?
Ah, rinnega tuo padre!...
Ricusa il tuo casato!...
O, se proprio non vuoi, giurami
amore,
ed io non sarò più
una Capuleti!
ROMEO -
(Sempre tra sé)
Che faccio, resto zitto ad
ascoltarla,
oppure le rispondo?...
GIULIETTA -
Il tuo nome soltanto m'è
nemico;
ma tu saresti tu, sempre Romeo
per me, quand'anche non fosti
un Montecchi.
Che è infatti Montecchi?...
Non è una mano, né
un piede, né un braccio,
né una faccia, né
nessun'altra parte
che possa dirsi appartenere
a un uomo.
Ah, perché tu non porti
un altro nome!
Ma poi, che cos'è un
nome?...
Forse che quella che chiamiamo
rosa
cesserebbe d'avere il suo
profumo
se la chiamassimo con altro
nome?
Così s'anche Romeo
non si dovesse più
chiamar Romeo,
chi può dire che non
conserverebbe
la cara perfezione ch'è
la sua?
Rinuncia dunque, Romeo, al
tuo nome,
che non è parte della
tua persona,
e in cambio prenditi tutta
la mia.
ROMEO -
(Forte)
Io ti prendo in parola!
D'ora in avanti tu chiamami
"Amore",
ed io sarò per te non
più Romeo,
perché m'avrai così
ribattezzato.
GIULIETTA -
Oh, qual uomo sei tu,
che protetto dal buio della
notte,
vieni a inciampar così
sui miei pensieri?
ROMEO -
Dirtelo con un nome,
non saprei; il mio nome, cara
santa,
è odioso a me perché
è nemico a te.
Lo straccerei, se lo portassi
scritto.
GIULIETTA -
L'orecchio mio non ha bevuto
ancora
cento parole dalla voce tua,
che ne conosco il suono:
non sei Romeo tu, ed un Montecchi?
ROMEO -
No, nessuno dei due, bella
fanciulla,
se nessuno dei due è
a te gradito.
GIULIETTA -
Ma come hai fatto a penetrar
qui dentro?
Dimmi come, e perché.
Erti e scoscesi
sono i muri dell'orto da scalare,
e se alcuno dei miei ti sorprendesse,
sapendo chi sei, t'ucciderebbe.
ROMEO -
Ho scavalcato il muro
sovra l'ali leggere dell'amore;
amor non teme ostacoli di
pietra,
e tutto quello che amore può
fare
trova sempre l'ardire di tentare.
Perciò i parenti tuoi
non rappresentano per me un
ostacolo.
GIULIETTA -
Ma se ti trovan qui, ti uccideranno!
ROMEO -
Ahimè, c'è più
pericolo per me
negli occhi tuoi che in cento
loro spade:
basta che tu mi guardi con
dolcezza,
perch'io mi senta come corazzato
contro l'odio di tutti i tuoi
parenti.
GIULIETTA -
Io non vorrei però
per nulla al mondo
che alcun di loro ti trovasse
qui.
ROMEO -
La notte mi nasconde col suo
manto
alla lor vista; ma se tu non
m'ami,
che mi trovino pure e che
mi prendano:
assai meglio è per
me finir la vita
desiderando invano l'amor
tuo.
GIULIETTA -
Come hai fatto a venire fino
qui?
Chi t'ha guidato?
ROMEO -
Amore per il primo
ha guidato i miei passi. È
stato lui
a prestarmi consiglio nel
trovarlo;
io gli ho prestato in cambio
solo gli occhi.
Io non sono un nocchiero,
ma se tu fossi lontana da
qui
quanto la più deserta
delle spiagge
bagnata dall'oceano più
remoto,
io correrei qualsiasi avventura
per cercar sì preziosa
mercanzia.
GIULIETTA -
Sai che la notte copre la
mia faccia
della sua nera maschera,
l'avresti vista arrossare,
se no,
per ciò che m'hai sentito
dir poc'anzi.
Ah, vorrei tanto mantener
la forma,
rinnegar quel che ho detto!...
Ma addio ormai inutili riguardi!
Tu m'ami?... So che mi rispondi
"Sì",
ed io ti prenderò sulla
parola;
ma non giurare, no, perché
se giuri,
potresti poi dimostrarti spergiuro.
Agli spergiuri degli amanti
- dicono -
ride anche Giove. O gentile
Romeo,
se m'ami, dimmelo con lealtà;
se credi ch'io mi sia lasciata
vincere
troppo presto, farò
lo sguardo truce
e, incattivita, ti respingerò,
perché tu sia costretto
a supplicarmi...
Ma no, non lo farei, per nulla
al mondo!...
In verità, leggiadro
mio Montecchi,
io di te sono tanto innamorata,
da farti pur giudicar leggerezza
il mio comportamento; però
credimi,
mio gentil cavaliere, che,
alla prova,
io saprò dimostrarmi
più fedele
di quelle che di me sono più
esperte
nell'arte di apparire più
ritrose.
E più ritrosa - devo
confessarlo -
sarei stata, se tu, subitamente,
prima ch'io stessa me ne fossi
accorta,
non m'avessi sorpresa
a confessar l'ardente mia
passione
a me stessa. Perdonami perciò,
e non voler chiamare leggerezza
la mia condiscendenza,
come t'avrà potuto
suggerire
il buio della notte.
ROMEO -
Mia signora,
per questa sacra luna che
inargenta
le cime di questi alberi,
ti giuro...
GIULIETTA -
Ah, Romeo, non giurare sulla
luna,
questa incostante che muta
di faccia
ogni mese nel suo rotondo
andare,
ché l'amor tuo potrebbe
al par di lei
dimostrarsi volubile e mutevole.
ROMEO -
Su che vuoi tu ch'io giuri?
GIULIETTA -
Non giurare;
o, se ti piace, giura su te
stesso,
su codesta graziosa tua persona,
l'idolo della mia venerazione,
e tanto basterà perch'io
ti creda.
ROMEO -
Se l'amor del mio cuore...
GIULIETTA -
Non giurare,
ho detto: benché tu
sia la mia gioia,
gioia non mi riesce di trovare
nell'impegno scambiatoci stanotte:
troppo improvviso, troppo
irriflessivo,
rapido, come il fulmine, che
passa
prima che uno possa dir "Lampeggia!".
Buona notte, dolcezza.
Questo bocciolo d'amore, schiudendosi
all'alito fecondo dell'estate,
potrà, al nostro prossimo
incontrarci,
dimostrarsi un bel fiore profumato.
Buona notte. La pace ed il
riposo
discendano soavi sul tuo cuore,
come soave è tutto
nel mio petto.
ROMEO -
Oh, vuoi lasciarmi così
insoddisfatto?
GIULIETTA -
Insoddisfatto? E qual soddisfazione
pensavi tu d'aver da me stasera?
ROMEO -
Sentirmi ricambiar dalla tua
bocca
il mio voto d'amore.
GIULIETTA -
Te l'ho dato,
ancor prima che tu me lo chiedessi;
se pur vorrei che fosse ancor
da dare.
ROMEO -
Vorresti ritirarlo? E perché,
amore?
GIULIETTA -
Per potermi mostrare generosa,
e dartelo di nuovo, a piene
mani.
Io non desidero che quel che
ho.
La mia voglia di dare è
come il mare,
sconfinata, e profondo come
il mare
è l'amor mio: più
ne concedo a te,
più ne possiedo io
stessa,
perché infiniti sono
l'una e l'altro.
(La voce
della Nutrice dall'interno,
che chiama: "Giulietta!")
Sento voci
da dentro casa... Addio,
addio, mio caro amore!...
Vengo, balia!...
Dolce Montecchi, restami fedele.
Aspetta ancora un po', ritorno
subito.
(Si ritira)
ROMEO -
O notte, notte di benedizioni!
Un sogno, temo, nient'altro
che un sogno
è questo: troppo dolce
e lusinghiero
per essere realtà!
GIULIETTA
riappare improvvisamente in
alto
GIULIETTA -
Ancora tre parole, Romeo caro,
e poi la buonanotte, per davvero.
Se onesto è l'amoroso
tuo proposito
e l'intenzione tua è
di sposarmi,
mandami a dir domani, per
qualcuno
ch'io manderò da te,
il luogo e l'ora
in cui vuoi celebrare il sacro
rito
ed io son pronta a mettere
ai tuoi piedi,
tutti i miei beni, ed a seguire
te
sempre e dovunque, come mio
signore...
NUTRICE -
(Da dentro)
Madamigella!
GIULIETTA -
Vengo, vengo subito!
(A Romeo)
... ma se diversa è
l'intenzione tua,
ti scongiuro...
NUTRICE -
(Da dentro)
Giulietta!
GIULIETTA -
Sto venendo!
... smetti di corteggiarmi
ed abbandonami
al mio dolore. Manderò
domani...
ROMEO -
Così possa salvarsi
la mia anima...
GIULIETTA -
Ancora buona notte, mille
volte!
(Si ritira)
ROMEO -
Mala notte, puoi dire, mille
volte,
se mi viene a mancare la tua
luce!
L'amore corre ad incontrar
l'amore
con la gioia con cui gli scolaretti
fuggon dai loro libri; ma
l'amore
che deve separarsi dall'amore
ha il volto triste degli scolaretti
quando tornano a scuola...
(Si trae
indietro lentamente)
GIULIETTA
appare di nuovo alla finestra
GIULIETTA -
Pssst! Romeo!...
Oh, avere il sibilo d'un falconiere
per poter richiamar questo
terzuolo!
Ma la clausura è roca,
ha voce fioca e non può
parlar alto;
altrimenti vorrei gridar sì
forte
da squarciar l'antro ove riposa
Eco
e soverchiare l'aerea sua
voce,
sì da farla più
fioca della mia,
a forza di chiamar: "Romeo!
Romeo!"
ROMEO -
(Tornando indietro)
È la stessa mia anima
che invoca
così il nome mio.
Come soavi suonan nella notte
le voci degli amanti:
sommessa musicalità
d'argento
dolcissima all'orecchio che
l'ascolta...
GIULIETTA -
Romeo!
ROMEO -
Cara...
GIULIETTA -
A che ora domattina
posso mandar da te?
ROMEO -
Verso le nove.
GIULIETTA -
Non mancherò. Mi parranno
vent'anni
fino allora... Perché
t'ho richiamato?...
Che sciocca! Non me lo ricordo
più!
ROMEO -
Lascia allora ch'io resti
qui con te
fino a tanto che ti ritorni
in mente.
GIULIETTA -
E così io, per farti
rimanere
ancora un poco, tornerò
a scordarmelo,
ricordandomi solo di una cosa:
quanto m'è dolce la
tua compagnia.
ROMEO -
E io ci resterò, perché
dimentica
tu resti ancora, dimentico
io stesso
d'aver altra dimora fuor che
questa.
GIULIETTA -
Ormai è quasi l'alba;
vorrei che tu già fossi
via da qui,
non più lungi però
dell'uccellino
che la bimbetta lascia saltellare
lontan dalla sua mano,
ma lo tiene legato alla catena
come suo prigioniero, e, in
una stratta,
d'un fil di seta lo riporta
a sé,
simile ad una amante
gelosa di quel po' di libertà.
ROMEO -
Quel prigioniero vorrei esser
io.
GIULIETTA -
E così vorrei io, dolcezza
mia,
anche se finirei col soffocarti
per le troppe carezze... Buona
notte!
Separarci è un dolore
così dolce
che non mi stancherei, amore
mio,
di dirti "buona notte"
fino a giorno.
(Si ritira)
ROMEO -
Siano dimora al sonno gli
occhi tuoi,
alla pace il tuo cuore. Sonno
e pace
vorrei essere io, pel tuo
riposo.
Ora da qui raggiungerò
la cella
del mio fidato padre confessore
a domandargli la sua assistenza
e confidargli questa mia fortuna.
(Esce)
SCENA III - La cella di Frate
Lorenzo
Entra FRATE LORENZO con un
paniere
FRATE LORENZO -
Sull'accigliata fronte della
notte
ride già l'alba, col
suo grigio sguardo
variegando le nubi dell'oriente
con variopinte lamine di luce,
e la chiazzata tenebra si
sfiocca
col suo passo ubriaco, vacillando,
sul sentiero del giorno che
s'avanza
sulle infuocate ruote di Titano.
Prima che il sole, col fulgente
cocchio
si faccia avanti a rallegrare
il giorno
e seccar la rugiada della
notte,
dovrò riempire d'erbe
velenose
e fiori dall'umore portentoso
questo cesto. Di tutta la
natura
la terra è madre ed
anche sepoltura;
e noi vediamo, da quel grembo
usciti,
rampolli d'ogni specie sugger
vita
dal suo seno materno: molti
eccelsi
per diverse virtù,
nessuno privo,
anche se l'uno è dall'altro
diverso.
Oh, grande e varia è
l'interna virtù
dell'erbe, delle piante e
delle pietre,
nelle lor naturali qualità,
e niente è così
vile sulla terra
da non rendere ad essa, in
contraccambio,
qualche particolare beneficio;
così come non v'è
cosa sì docile
che, distratta dal natural
suo impiego,
non dirazzi dalla sua vera
origine
e si corrompa, e degradi in
abuso.
La virtù stessa si
converte in vizio,
ed il vizio talora si nobilita
col compimento d'una bella
azione.
Nell'esile epitelio che riveste
la corolla di questo fragil
fiore
stanno insieme un umore velenoso
ed una proprietà medicinale:
a odorarlo, t'inebria; ad
ingerirlo
t'uccide, con il cuore, tutti
i sensi.
Due sovrani di questo stesso
tipo,
tra lor nemici, son sempre
accampati,
così come nell'erbe,
anche nell'uomo:
la Grazia, e la brutale Volontà.
La pianta in cui predomina
il peggiore
di questi due potenti, è
divorata
assai presto dal cancro della
morte.
Entra ROMEO
ROMEO -
Buondì, Frate Lorenzo!
FRATE LORENZO -
Benedicite!
Qual voce mattutina mi saluta
così dolce?... Figliolo,
se al tuo letto
dici buongiorno così
di buon'ora,
devi avere qualcosa per il
capo.
Gli affanni son di solito
di guardia
alla porta degli occhi degli
anziani,
e dove sono di vigilia loro
è difficile che s'avvicini
il sonno;
ma là dove distende
le sue membra
l'intatta gioventù,
sgombra di mente,
regnano normalmente sogni
d'oro.
Perciò la tua comparsa
di buon'ora
mi dice che t'ha tratto giù
dal letto
un qualche affanno; e se così
non è,
allora ci vuol poco a indovinare:
Romeo stanotte non è
andato a letto.
ROMEO -
Quest'ultima supposizione
è vera;
ma il mio riposo è
stato dei più dolci.
FRATE LORENZO -
Dio perdoni il peccato!...
Rosalina?
ROMEO -
Con Rosalina, padre santo?
No.
Quel nome, con le sue pene
d'amore,
io l'ho scordato.
FRATE LORENZO -
Bravo il mio figliolo!
E allora, dove diamine sei
stato?
ROMEO -
Senza aspettar che una seconda
volta
tu me lo chieda, te lo dico
subito:
stanotte sono stato ad una
festa,
in casa d'un nemico, e là,
d'un tratto,
qualcuno m'ha ferito,
che ferito è rimasto
anche da me.
Per tutti e due ora il rimedio
è soltanto riposto,
Fra' Lorenzo,
in te e nella tua santa medicina.
Io non serbo rancori, padre
santo,
perché, vedi, con questa
mia preghiera
intercedo altresì pel
mio nemico.
FRATE LORENZO -
Sii più chiaro, figliolo,
e vieni al punto.
Confessione che parla per
enigmi,
non può ottenere chiara
assoluzione.
ROMEO -
Allora, in chiaro, sappi che
il mio cuore
ha riposto l'amore suo più
tenero
nella figlia del ricco Capuleto;
e come il mio in lei è
il suo in me;
e tutto è combinato
tra noi due,
manca soltanto quanto spetta
a te
nell'unirci in un santo matrimonio.
Quando, e dove, ed in quali
circostanze
noi ci siamo incontrati e
dichiarati,
e ci siamo scambiati i nostri
voti,
te lo dirò più
tardi; ora mi preme
d'ottener subito da te una
cosa:
che tu acconsenta a sposarci
oggi stesso.
FRATE LORENZO -
San Francesco! Che voltafaccia
è questo?
E Rosalina, l'hai bell'e scordata?
Sembrava che per lei volessi
struggerti.
Com'è vero che non
nel cuore ha sede
l'amor dei giovani, ma sol
negli occhi!
Gesummaria, che mare d'acqua
salsa
ha bagnato le pallide tue
guance
per Rosalina! Quanta salamoia
sprecata a saporire una passione
che non devi nemmeno più
assaggiare!
Ancora non ha dissipato il
sole
nell'aria l'alito dei tuoi
sospiri;
ancor risuonano i tuoi vecchi
gemiti
dentro le stagionate orecchie
mie...
Guarda, qui sulla gota t'è
rimasta
la traccia d'un'antica lagrimuccia
che non s'è ancora
asciugata del tutto:
se tu eri te stesso, e quelle
pene
erano tue, tu stesso e quelle
pene
eravate per Rosalina. E adesso?
Tutto cambiato?... Allora
veramente
puoi ripeter con me quel certo
adagio:
"Possono ben cader le
donne in fallo,
"se nell'uomo è
sì debole il cervello".
ROMEO -
Tu, pel fatto che amassi Rosalina
m'hai spesso biasimato, tuttavia.
FRATE LORENZO -
Perché ti conducevi
come un folle,
figliolo, ma non già
perché l'amassi.
ROMEO -
... e m'hai anche esortato
a seppellirlo,
quell'amore...
FRATE LORENZO -
Ma non dentro una fossa
dove calarne uno e trarne
un altro.
ROMEO -
Ti prego, adesso, non mi redarguire:
quella che amo adesso mi ricambia
grazia per grazia, amore per
amore.
L'altra non lo faceva.
FRATE LORENZO -
Oh, quella ben sapeva che
il tuo amore
non compitava, leggeva a memoria.
Ma andiamo pure, vagheggino,
andiamo,
seguimi. C'è comunque
una ragione
per la quale m'induco ad aiutarti:
ed è il pensiero che
codesta unione
possa riuscire sì provvidenziale
da convertire in affetto sincero
la bile delle due vostre famiglie.
ROMEO -
E dunque andiamo, ch'io sto
sulle spine!
FRATE LORENZO -
Prudenza e calma! Chi va troppo
in fretta
finisce poi con l'inciampare
e cade.
(Escono)
SCENA IV- Verona, una strada
Entrano BENVOLIO e MERCUZIO
MERCUZIO -
Dove diavolo si sarà
cacciato
questo Romeo? È rientrato
stanotte?
BENVOLIO -
A casa di suo padre no di
certo.
Ho parlato con uno dei suoi
servi.
MERCUZIO -
Eh, quella zitellona palliduccia,
dal cuore secco, quella Rosalina
gli dà tali tormenti
che il meschino
perderà certamente
la ragione.
BENVOLIO -
Il nipote del vecchio Capuleto,
Tebaldo, so che ha mandato
una lettera
a casa di suo padre.
MERCUZIO -
Un cartello di sfida, ci scommetto.
BENVOLIO -
Romeo saprà rispondergli
a dovere.
MERCUZIO -
Chiunque sa rispondere a una
lettera:
basta che sappia scrivere.
BENVOLIO -
Rispondergli, intendo, per
le rime:
voglio intendere sfida contro
sfida.
MERCUZIO -
Ah, povero Romeo! Morto com'è,
trafitto il cuore da nera
pupilla
di candida fanciulla, rintronato
ambo gli orecchi da canzon
d'amore,
spaccato il cuore in due da
una quadrella
dell'arciere bendato... È
questo l'uomo
che dovrebbe scontrarsi con
Tebaldo?
BENVOLIO -
Evvia, che sarà mai
questo Tebaldo!
MERCUZIO -
Qualcosa più del principe
dei gatti,
te l'assicuro. Oh, egli è
il coraggioso
gran capitano dei salamelecchi.
Si batte come tu canti un
corale,
con contrappunto: tiene il
tempo, il ritmo,
la misura, le pause: e uno,
e due,
ed alla terza te lo schiaffa
in petto.
È il vero macellaio
specialista
dei bottoni di seta dei corsetti,
un duellista, un cavalier
di razza,
pronto alla prima offesa e
alla seconda.
Ah, l'immortale "affondo"!
Il suo "rovescio"!
Il suo "toccato"...
BENVOLIO -
Il suo... che cosa?
MERCUZIO -
Il canchero
di questi scriteriati balbuzienti,
smancerose anticaglie svaporate,
questi novelli fini dicitori:
"Gesù, una buona
lama! Un bel fustone!
"Una puttana veramente
emerita!...".
Insomma, nonno, non è
deplorevole
che noi s'abbia a sentirci
infastiditi
da questi zanzaroni forestieri,
da questi spacciatori di etichette,
questi "pardonnez-moi",
tanto fanatici
del più recente grido
della moda
da non poter nemmeno star
seduti
comodamente su una vecchia
panca?
Uh, i lor "bons"
e i loro "bans",
che ridere!
Entra ROMEO
BENVOLIO -
Oh, eccolo, Romeo! Ecco Romeo!
MERCUZIO -
E senza il "Ro",
come un'aringa secca!
O carne, carne, ti sei fatta
pesce!
Ora s'è dato a sguazzar
tra le rime,
all'uso di Petrarca: Monna
Laura
appetto alla sua donna era
una sguattera
(ebbe però migliore
spasimante,
a celebrarla in rima, quella
là);
Didone al paragone una sciattona,
Cleopatra niente meglio di
una zingara,
Elena ed Ero due vili bagasce,
Tisbe, magari, col suo occhio
verde,
ma non da starci a perder
troppo tempo...
Signor Romeo, bonjour!, alla
francese,
in onor delle tue braghe francesi!
Stanotte ci hai mollato la
patacca.
ROMEO -
Buongiorno a tutti e due...
Quale patacca?
MERCUZIO -
Eh, piantandoci in asso, sì,
mollandoci.
Rendo l'idea?...
ROMEO -
Pardon, mio buon Mercuzio:
ma era una faccenda importantissima;
e in casi come questo è
consentito
di derogare alle buone maniere.
MERCUZIO -
Vuoi dire che in un caso come
il tuo
uno deve mostrare le sue chiappe?
ROMEO -
Sì, per chinarsi e
domandare scusa.
MERCUZIO -
L'hai rivoltata con molta
finezza.
ROMEO -
E tu l'hai gentilmente interpretata.
MERCUZIO -
Io, della gentilezza, son
la punta.
ROMEO -
Punta per fiore.
MERCUZIO -
Bravo, esattamente.
ROMEO -
Quand'è così,
se "punta" vuol
dir "fiore",
i miei scarpini sono ben fioriti.
MERCUZIO -
Spiritoso! Va' avanti con
lo scherzo
finché non l'avrai
tutto consumato
il tuo scarpino, ché
quando la suola
sarà consunta, ti resterà
solo
da consumar la tua spiritosaggine.
ROMEO -
O spirito con una sola suola,
e singolare solo perché
singolo!
MERCUZIO -
Caro Benvolio, vieni tu a
dividerci,
m'accorgo che il mio spirito
svanisce.
ROMEO -
E porta frusta e sproni, sproni
e frusta,
o avrò partita vinta!
MERCUZIO -
Non dar retta!
Se si mette il mio spirito
col tuo
a far la corsa dell'oca selvatica,
per me è finita; ché
d'oca selvatica
ce n'è di più
in un solo dei tuoi sensi
che in tutti e cinque i miei,
l'uno sull'altro.
M'avevi dunque preso a fare
l'oca?
ROMEO -
E quando mai hai fatto insieme
a me
questa corsa, se non per fare
l'oca?
MERCUZIO -
Meriteresti un bel morso all'orecchio
per questa tua battuta.
ROMEO -
No, non mordere,
oca mia buona, non ne avresti
i denti.
MERCUZIO -
Il tuo spirito è molto
agro-dolciastro,
una salsa piuttosto piccantina.
ROMEO -
E allora non è forse
ben servita
per condimento ad un'oca frollata?
MERCUZIO -
Uh, questa è veramente
una facezia
di pelle di capretto; è
stretta un pollice,
ma stirandola si fa larga
un braccio.
ROMEO -
E allora te la stiro fino
al punto
da raggiungere la parola "largo",
che aggiunta a "oca"
è la dimostrazione
che sei un'oca grande, in
lungo e in largo.
MERCUZIO -
Beh, che ne dici, non è
meglio questo
d'esercizio, che spasimar
d'amore?
Adesso sei ritornato socievole,
adesso sei Romeo, sei tu,
quel tu
ch'arte e natura insieme han
fabbricato;
perché quel mocciosetto
dell'amore
assomiglia ad un povero imbecille
che corre a perdifiato a destra
e a manca
all'affannosa ricerca d'un
buco
in cui nascondere il suo gingillino.
ROMEO -
Taglia! Fermati qui!
MERCUZIO -
Vuoi che tagli il discorso
a contropelo?
ROMEO -
Se no, chi sa che coda ci
faresti,
a questo tuo discorso.
MERCUZIO -
No, ti sbagli, l'avrei tagliata
lì,
perché alla coda c'ero
già arrivato
e non avevo proprio alcuna
voglia
d'occupare più a lungo
l'argomento.
Entra la
NUTRICE, velata di bianco;
dietro a lei PIETRO
ROMEO -
Che bell'arnese!
MERCUZIO -
Una vela! Una vela!
BENVOLIO -
Due, due... una camicia e
una gonnella!
NUTRICE -
Pietro!
PIETRO -
Son qua.
NUTRICE -
Il mio ventaglio, Pietro.
MERCUZIO -
Sì, Pietro, per nasconderle
la faccia,
il ventaglio ce n'ha una più
bella.
NUTRICE -
Dio vi dia il buon giorno,
gentiluomini.
MERCUZIO -
E a voi la buona sera, bella
dama.
NUTRICE -
È forse l'ora di dir
buona sera?
MERCUZIO -
Né più né
meno, posso assicurarvelo;
l'oscena mano della meridiana
ha messo l'asta sopra mezzogiorno.
NUTRICE -
Alla larga! Che razza d'uomo
siete?
MERCUZIO -
Uno che Dio, signora, ha fabbricato
perché si rovinasse
da se stesso.
NUTRICE -
"Perché si rovinasse
da se stesso",
ha detto?... Eh, perbacco,
ha detto bene!
Signori, c'è qualcuno
tra di voi
che sa dirmi ove posso rintracciare
il giovane Romeo?
ROMEO -
Io posso dirvelo;
ma il "giovane"
Romeo che voi cercate
quando sarà che l'avrete
trovato
sarà sicuramente "meno
giovane"
di quando avete iniziato a
cercarlo.
Di quel nome il "più
giovane" son io,
in mancanza di peggio.
NUTRICE -
Dite bene.
MERCUZIO -
Ah, sì? Il peggio e
il bene son tutt'uno?
Oh, bella! Ma che senno! Che
saggezza!
NUTRICE -
(A Romeo)
Se davvero voi siete lui,
signore,
desidero parlarvi in confidenza.
BENVOLIO -
Vuoi vedere che se lo invita
a cena?
MERCUZIO -
Uh, uh! Una ruffiana,
una ruffiana!
ROMEO -
Ch'hai scovato?
MERCUZIO -
Una lepre no di certo;
casomai una lepre da impastare
per il pasticcio magro di
Quaresima
che sa alquanto di rancido
e stantio
prima ancora che te lo mandi
giù.
(Canta)
"Una lepre vecchia e
vizza
"sarà buona da
mangiare
"di Quaresima, ma puzza,
"serve solo a digiunare."
Romeo,
vieni con noi?
Si va a pranzare a casa di
tuo padre.
ROMEO -
Andate avanti, vi raggiungo
dopo.
MERCUZIO -
(Alla Nutrice)
Addio, antica dama...
(Allontanandosi
canta)
"Dama, dama...".
(Escono
Mercuzio e Benvolio)
NUTRICE -
Ditemi voi, signore, salvognuno,
che razza di sfacciato rigattiere
è quello là,
sì pieno di sconcezze?
ROMEO -
È un gentiluomo così
fatto, balia,
che si compiace di parlarsi
addosso,
e in un minuto infila tante
chiacchiere
quanto nemmeno lui sarebbe
in grado
di starle ad ascoltare per
un mese.
NUTRICE -
Se crede di poter sparlar
di me,
saprò ben io fargli
abbassar la cresta,
foss'anche più forzuto
di com'è
e di venti altri bulli come
lui;
e se non ce la faccio da me
sola,
trovo chi potrà farcela
per me.
Ignobile canaglia! Farabutto!
E che! M'ha preso per una
sgualdrina,
o per qualcuno della sua combriccola?
(A Pietro)
E tu che fai? Stai lì,
fermo, impalato,
e lasci che un qualunque screanzato
possa svillaneggiarmi a suo
talento?
PIETRO -
Io, che qualcuno vi svillaneggiasse
non l'ho visto; se mai l'avessi
visto,
questa mia spada, ve lo garantisco,
sarebbe uscita subito dal
fodero.
A tirar fuori l'arma sono
svelto
quanto un altro, se la querela
è giusta,
e se la legge sta dalla mia
parte.
NUTRICE -
Dio sa se non mi sento tutta
un fremito,
a vedermi trattata in questo
modo...
Ma che razza d'ignobile furfante!
Signore, prego, ho da dirvi
qualcosa.
Come vi ho detto, la mia padroncina
m'ha mandato a cercarvi.
Tengo in serbo quel che ha
detto
a me ch'io vi dicessi, perché
prima
vi debbo dire io, da parte
mia,
che, se per caso la vostra
intenzione
sia di menarla, come si suol
dire,
al paradiso degli scervellati,
sarebbe proprio, come si suol
dire,
la più perfida delle
vigliaccate;
perché la damigella
è molto giovane,
e se con lei giocaste di doppiezza,
sarebbe una solenne canagliata
ai danni d'una vera gentildonna,
un'azione davvero riprovevole.
ROMEO -
Balia, alla tua signora padroncina,
tu puoi raccomandarmi, te
lo giuro.
NUTRICE -
Cuor d'oro! Certo, che glielo
dirò!
Signore Iddio, come sarà
felice!
ROMEO -
Che cosa le dirai, se non
m'ascolti?
NUTRICE -
Le dirò, se ho saputo
bene intendere,
che m'avete giurato, mio signore,
un impegno da vero gentiluomo.
ROMEO -
Dille se può trovare
qualche scusa,
stasera, per recarsi a confessare
da Fra' Lorenzo; e lì,
nella sua cella,
si troverà confessata
e sposata.
Toh, prendi questo, per il
tuo disturbo.
(Le porge
una borsa)
NUTRICE -
No, signore, no, no! Nemmeno
un soldo!
ROMEO -
Su, prendilo.
NUTRICE -
(Prendendo la borsa)
Stasera, avete detto?
Bene, state tranquillo. Ci
sarà.
(Fa per
andarsene)
ROMEO -
Aspetta, buona balia: in capo
a un'ora,
dietro il muro di cinta del
convento,
fatti trovare da un mio servitore;
lui ti consegnerà una
scala a corda
che, nel segreto poi di questa
notte,
dovrà aiutarmi a salire
su in alto,
al sommo della mia felicità.
Mi raccomando a te; siimi
fedele,
ed io saprò come ricompensarti.
Salutami la tua padrona. Addio.
NUTRICE -
Ora, Dio da lassù ti
benedica,
figliola mia... Signore,
un'altra cosa.
ROMEO -
Che dice ancora la mia cara
balia?
NUTRICE -
Quel vostro servo è
persona sicura?
Perché c'è un
detto - l'avrete sentito -
che se son due a sapere un
segreto
questo può esser solo
mantenuto
se uno di quei due vien fatto
fuori.
ROMEO -
Sta' tranquilla, il mio uomo
è a tutta prova,
come l'acciaio, te lo garantisco.
NUTRICE -
Bene, signore. E la mia padroncina
è la più deliziosa
damigella...
Mio Dio, l'aveste vista quando
ancora
era una fringuellina tutta
lingua!...
Oh, c'è in città
un signore, un certo Paride,
cui non parrebbe vero
di poterla abbordare con
successo;
ma lei, anima santa, più
che quello,
vedrebbe meglio un rospo,
dico un rospo.
Talvolta mi diverto a stuzzicarla
dicendole che Paride è
il suo uomo,
ma lei, solo a sentirlo nominare,
diventa pallida come uno
straccio,
v'assicuro... Romeo e Rosmarino
non cominciano con la stessa
lettera?
ROMEO -
Sì, nutrice, con "erre".
E che, con ciò?
NUTRICE -
Burlona! Quello è il
nome del suo cane.
"Erre" poi sta per...
no, è un'altra lettera...
Ma lei su Rosmarino e su di
voi
ci ha imbastito dei motti
graziosissimi
che a sentirli vi spassereste
un mondo.
ROMEO -
Addio. Salutami la padroncina.
NUTRICE -
Sì, mille volte.
(Esce Romeo)
Pietro!
PIETRO -
Sono qua.
NUTRICE -
Toh, il mio ventaglio e avviati,
andiamo, presto.
(Escono)
SCENA V - Verona, l'orto
dei Capuleti
Entra GIULIETTA
GIULIETTA -
Eran le nove appena, quand'è
uscita...
M'aveva detto ch'entro una
mezz'ora,
al più tardi, sarebbe
ritornata.
Forse non è riuscita
a rintracciarlo...
No, non può essere...
Oh, quella è zoppa!
A fare i messaggeri dell'amore
dovremmo poter mettere i pensieri,
che corron dieci volte più
del sole
quando rapido caccia coi suoi
raggi
l'ombre dall'accigliate erte
colline.
Per questo, Amore è
trainato in volo
da colombe, e Cupido ha due
alucce
che corrono veloci come il
vento.
Il sole è al culmine
del suo percorso,
tre ore, dalle nove a mezzogiorno,
e questa balia ancora non
mi torna!
Avesse in corpo anch'essa
le passioni
e il sangue caldo della gioventù,
sarebbe rapida come una palla;
e sarebbero allor le mie parole
a lanciarla al mio amore,
e quelle sue
a farla rimbalzar veloce a
me.
Ma i vecchi a volte sono gente
morta,
inerti, gravi, lividi e pesanti
come piombo...
Entrano
la NUTRICE e PIETRO
Ma eccola,
Deograzia!
Balia mia dolce, allora, che
mi dici?
L'hai trovato?... Licenzia
questo servo.
NUTRICE -
(A Pietro)
Va', aspettami al cancello.
GIULIETTA -
Presto, presto,
cara, buona nutrice, dimmi
tutto!
Oh, Signore! Cos'è
quell'aria triste?
Anche se le notizie sono tristi,
dammele almeno con la faccia
lieta;
se buone, non sciupar la loro
musica
suonandola con quella cera
arcigna.
NUTRICE -
Sono sfinita. Fammi prender
fiato.
Ah, che dolore all'ossa! Che
trottata!
GIULIETTA -
Se tu potessi avere le mie
ossa,
ed io le tue notizie... Suvvia,
parla!
Parla, ti prego, dolce mia
nutrice!
NUTRICE -
Gesummaria, che maledetta
furia!
Non puoi proprio aspettare
un solo istante?
GIULIETTA -
Come puoi dire d'esser senza
fiato
se ti rimane ancora tanto
fiato
per dire che ne sei rimasta
senza?
La scusa che tu dai a questi
indugi
è più lunga
di quello ch'hai da dirmi,
e che ti scusi di non poter
dire.
Rispondi almeno con un "sì"
o un "no":
se le notizie son buone o
cattive.
Per i dettagli posso anche
aspettare.
Fammi contenta: son buone
o cattive?
NUTRICE -
Ebbene, hai fatto una meschina
scelta;
tu non lo sai come si sceglie
un uomo.
Romeo!... Ah, non è
lui che fa per te;
anche se quel suo viso, chi
lo nega?,
è certamente più
bello degli altri,
la sua gamba è tornita
senza pari,
e mani e piedi e tutto il
resto... beh!,
sebbene ci sia poco da ridire,
tuttavia, sì, beh!,
sono senza confronto.
Non sarà proprio un
fior di cortesia;
- questo sì, lo posso
garantire -
gentile e docile come un agnello...
Va', va', fanciulla mia, per
la tua strada!...
E servi Dio!... S'è
già pranzato qui?
GIULIETTA -
No, non ancora... Però
tutto questo
io lo sapevo già. Ma
il matrimonio...
Che t'ha detto del nostro
matrimonio?
Che ne pensa?
NUTRICE -
Oh, Dio, che mal di testa!
Che male al capo! Me lo sento
battere,
come volesse farsi in mille
pezzi!
E la schiena, qui dietro!
Oh, la mia schiena!
Con che cuore m'hai sguinzagliato
in giro
ad acchiapparmi davvero la
morte
a trottare su e giù
per la città!
GIULIETTA -
Mi duole assai che non ti
senti bene.
Ma dimmi, dolce, dolce mia
nutrice,
dimmi che cosa dice l'amor
mio.
NUTRICE -
L'amor tuo, da compito gentiluomo,
cortese, buono, bello e -
garantisco -
anche virtuoso... Ma dov'è
tua madre?
GIULIETTA -
Dov'è mia madre?...
E dove vuoi che sia?
In casa! Che maniera stravagante
di darmi una risposta: "L'amor
tuo,
dice, da quel compito gentiluomo,
dov'è tua madre..."
NUTRICE -
Eh, Vergine Santa!
Prendi fuoco così?
E dopo allora?
Vergine Santa! È questo
il cataplasma
che m'appresti pel mio dolore
alle ossa?
D'ora in avanti, cara, le
ambasciate
te le farai da te!
GIULIETTA -
Eh, quante storie!
Insomma, avanti, che dice
Romeo?
NUTRICE -
Il permesso d'andarti a confessare
ce l'hai per oggi?
GIULIETTA -
Sì.
NUTRICE -
E allora, presto:
corri alla cella di Frate
Lorenzo:
lì dentro c'è
un marito che t'aspetta
per far di te sua moglie...
Ecco, lo vedi?
Ecco che quel tuo sangue ruffianello
già t'inonda le gote...
una notizia,
e subito si fanno di scarlatto.
Va' subito alla chiesa; io
son costretta
a raggiungerti per un'altra
strada
per provvedermi d'una certa
scala
con la quale il tuo amore,
appena buio,
dovrà salire al nido
d'un fringuello.
Io, pel momento, faccio il
portapesi
che sfacchina per te; ma appena
notte,
quel peso lo dovrai portare
tu.
Vado a metter qualcosa sotto
i denti.
Tu affrettati alla cella.
GIULIETTA -
Alla mia gioia!
Alla suprema mia felicità!
Buona, cara nutrice! Arrivederci!
(Escono)
SCENA VI - La cella di Frate
Lorenzo
Entrano FRATE LORENZO e ROMEO
FRATE LORENZO -
Il cielo arrida a questo atto
sacrale,
sì che l'ore future,
a suo castigo,
non abbiano a recarci alcun
dolore.
ROMEO -
Amen, padre Lorenzo, così
sia!
Ma qualunque dolore me ne
venga,
non potrà bilanciar
l'immenso gaudio
d'un solo istante della sua
presenza.
Congiungi tu, con le parole
sante,
le nostre mani, e poi venga
la Morte,
la gran divoratrice dell'amore,
a far di noi tutto quello
che vuole.
A me basta poterla chiamar
mia.
FRATE LORENZO -
Codesti subitanei piacimenti
hanno altrettanta subitanea
fine,
e come fuoco o polvere da
sparo
s'estinguono nel lor trionfo
stesso,
si consumano al loro primo
bacio.
Miele più dolce si
fa più stucchevole
proprio per l'eccessiva sua
dolcezza,
e toglie la sua voglia al
primo assaggio.
Perciò sii moderato
nell'amare.
L'amor che vuol durare fa
così.
Chi ha fretta arriva sempre
troppo tardi,
come chi s'incammina troppo
adagio.
Entra GIULIETTA
Ecco la
sposa... Oh, sì leggero
piede
potrebbe camminare eternamente
su quella soglia, senza consumarla.
Un amante potrebbe navigare
sul tenue filo d'una ragnatela
fluttuante alla brezza dell'estate,
sì leggera è
l'umana vanità.
GIULIETTA -
Buona sera al mio santo confessore.
FRATE LORENZO -
Romeo ti dirà "grazie"
anche per me,
figliola.
GIULIETTA -
Ed io lo stesso dico a lui,
perché i suoi "grazie"
non siano di troppo.
ROMEO -
Ah, Giulietta, se la tua gioia
è al colmo
come la mia, e se meglio di
me
sai esaltarla, effondi tu
nell'aria
il dolce effluvio della tua
parola,
e il linguaggio di quella
ricca musica
renda l'idea dell'infinito
gaudio
che entrambi riceviamo, l'un
dall'altro,
in questo nostro dolcissimo
incontro.
GIULIETTA
-
Quando il pensiero è
ricco
di fatti più che di
sole parole,
può sfoggiare la sua
intima essenza
senza bisogno d'altri abbellimenti.
Solo chi è povero può
calcolare
quanto possiede; ma l'amore
mio
è giunto a tale eccesso
di ricchezza,
che ormai non saprei più
tenere il conto
della metà di tanto
mio tesoro.
FRATE LORENZO
-
Venite, su, sbrighiamoci,
alla svelta;
perché soli, voi due,
non vi dispiaccia,
non potete restare, fino a
tanto
che Santa chiesa non v'abbia
congiunti.
(Escono)