SCENA I
- La cella di Frate Lorenzo
Entrano
FRATE LORENZO e PARIDE
FRATE LORENZO
- Giovedì, dite?...
Non c'è molto tempo.
PARIDE -
Questa è la volontà
del Capuleto,
il mio futuro suocero, e per
me,
non avrei né motivo
d'indugiare,
né di frenare questa
sua premura.
FRATE LORENZO -
M'avete confessato, tuttavia,
di non sapere quale sentimento
ha per voi la ragazza; e un
tal procedere
non mi sembra normale. Non
mi piace.
PARIDE -
Ma lei non fa che lacrimare
e piangere
la morte di Tebaldo, suo cugino,
e perciò non ho avuto
molto tempo
per corteggiarla e parlarle
d'amore;
e Venere, si sa, non può
sorridere
in una casa dentro cui si
piange.
Ora, frate, si dà che
il padre suo
stimi che alla salute della
figlia
sia pernicioso ch'ella resti
immersa
così profondamente
nel cordoglio;
sicché nella paterna
sua saggezza
vuole affrettare l'ora delle
nozze,
per arginarle l'onda delle
lacrime,
che sarebbe da lei allontanata,
se non restasse sola con se
stessa
a macerarsi con il suo dolore.
Ora sapete perché tanta
fretta.
FRATE LORENZO -
(Tra sé)
Così non conoscessi
la ragione
per cui dovrebbe invece esser
frenata!...
Entra GIULIETTA
PARIDE -
Felice d'incontrarvi,
mia signora e mia sposa!
GIULIETTA -
Così potrà forse
essere, signore,
se sposa potrò essere.
PARIDE -
Perché?
Così "potrà",
mia cara, anzi "dovrà"
essere appunto giovedì
mattina.
GIULIETTA -
Sarà quel che ha da
essere, sì, certo.
Sacra massima è questa:
non c'è dubbio.
PARIDE -
Siete venuta qui per confessarvi
da questo santo padre?
GIULIETTA -
Darvi risposta a una tale
domanda,
sarebbe come confessarmi a
voi.
PARIDE -
Non gli nasconderete che mi
amate.
GIULIETTA -
Voglio piuttosto confessare
a voi
di amare "lui".
PARIDE -
E a lui di amare me,
ne son certo.
GIULIETTA -
Se mai dovessi farlo,
la cosa avrebbe certo più
valore,
voi assente, che non a voi
dinanzi.
PARIDE -
Il tuo volto, mia povera creatura,
è sciupato dal troppo
lacrimare.
GIULIETTA -
Un bel meschino vanto, per
le lacrime;
ché il mio viso era
già abbastanza brutto
avanti di subire il loro oltraggio.
PARIDE -
E tu gli rechi, con le tue
parole,
un oltraggio maggiore delle
lacrime.
GIULIETTA -
Dire la verità, non
è calunnia;
e, dopo tutto, questo volto
è mio.
PARIDE -
No, esso è mio, e tu
l'hai calunniato.
GIULIETTA -
Forse avete ragione a dir
così,
perché infatti non
appartiene a me.
(A Frate
Lorenzo)
Padre santo,
vi vien comodo adesso,
per confessarmi, o volete
ch'io torni
all'ora di compieta?
FRATE LORENZO -
Adesso, adesso, angustiata
figliola.
(A Paride)
Monsignore,
con vostro beneplacito,
dobbiamo restar soli per un
po'.
PARIDE -
Dio mi guardi dall'esser di
disturbo
alle pratiche della divozione.
Giulietta, giovedì,
di buon mattino
verrò a svegliarti.
Fino a quel momento
accetta un casto bacio. Arrivederci.
(Esce)
GIULIETTA -
Frate Lorenzo, ah!, chiudi
quella porta,
e dopo vieni a piangere con
me!
Non v'è speranza più,
non v'è rimedio,
nessuno che mi possa dare
aiuto!...
FRATE LORENZO -
Ah, Giulietta, conosco la
tua pena;
mi strazia più di quanto
le mie forze
sappian tenere. Ho udito:
giovedì
tu devi andare sposa a questo
conte,
non c'è santo che possa
ritardarlo.
GIULIETTA -
Ah, non mi dire, frate, che
lo sai,
e non sai cosa fare ad impedirlo!
Se nella tua saggezza
non riesci di darmi alcun
soccorso,
non ti resta che riconoscer
giusta
la mia risoluzione, e questa
lama
vi porrà subito rimedio,
adesso.
Dio ha legato il cuore di
Romeo
a quello mio, e tu le nostre
mani:
ebbene, prima che questa mia
mano
che suggellasti a quella di
Romeo
sia suggello d'un altro matrimonio,
e prima che un infame tradimento
rivolga il cuore mio verso
un altr'uomo,
questo coltello darà
morte a entrambi.
Perciò mi dia la tua
lunga esperienza
qualche pronto consiglio;
se no, guarda,
questo pugnale la farà
da arbitro
fra me e l'estreme mie tribolazioni,
e saprà lui risolvere
d'un colpo
quello che la tua età
e la tua scienza
saranno stati incapaci di
addurre
ad una degna e giusta conclusione.
Parlami, senza remore;
ché remora io
non avrò a morire,
se offrirmi non saprà
la tua parola
nessun altro possibile rimedio.
FRATE LORENZO -
Calma, calma, figliola;
un filo di speranza io l'intravvedo,
ma tale che richiederà
da te
una messa ad effetto disperata,
così com'è disperato
l'evento
che vogliam prevenire.
Però se tu hai forza
e volontà
di procurarti morte da te
stessa,
piuttosto che sposare il conte
Paride,
forse potrai sentirti anche
disposta,
per scacciare da te quella
vergogna,
ad esporre te stessa ad una
prova
che con la morte ha molta
somiglianza.
E dunque, se ti senti un tal
coraggio,
io sono qui ad offrirti il
mio rimedio.
GIULIETTA -
Oh, piuttosto che andare sposa
a Paride,
dimmi anche di precipitarmi
giù
da quella torre, o d'andarmene
sola
per le strade battute dai
ladroni;
o d'appiattarmi in un nido
di serpi,
o di restare, legata in catene,
con degli orsi ruggenti;
o di rimaner chiusa nottetempo
in un ossario pieno zeppo
d'ossa
tutte sinistramente scricchiolanti,
di stinchi umani marci imputriditi,
di teschi sganasciati ed ingialliti;
o di calarmi in fondo d'una
fossa
appena mo' scavata, e ricoprirmi
dello stesso sudario di quel
morto:
tutte cose che, a udirle raccontare,
m'han sempre fatto morire
di brividi,
e che adesso son pronta ad
affrontare
senza paura, senza esitazione,
pur di restare la sposa illibata
dell'unico dolcissimo amor
mio.
FRATE LORENZO -
Allora senti: adesso torna
a casa,
cerca di darti un'aria spensierata,
e accetta di sposare il conte
Paride.
Domani, mercoldì, è
la vigilia:
domani notte devi fare in
modo
di restar a dormire sola in
camera,
senza tenerti con te la nutrice.
Toh, prendi questa fiala;
e appena a letto,
bevi il liquido in essa contenuto;
ti sentirai fluire nelle vene
subito un freddo umore soporifero;
il polso perderà il
normale ritmo,
cessando a poco a poco di
pulsare.
Non resterà calore,
né respiro
a dar segno che sei ancora
in vita.
Il roseo sulle labbra e sulle
gote
si stingerà fino a
farsi pallore,
come color di cenere; le palpebre
s'abbasseranno, come quando
morte
cala a chiudere il giorno
della vita.
Le membra, prive d'ogni movimento,
irrigidite, gelide, indurite,
prenderanno l'aspetto della
morte;
ed in questa mortal rigidità,
che sarà solamente
artificiale,
tu resterai per quarantadue
ore,
dopodiché tornerai
a svegliarti
come da un sonno placido e
tranquillo.
Ma quando, all'alba, giungerà
lo sposo
per farti alzare, ti crederà
morta;
allora, com'è d'uso
nel paese,
vestita dei tuoi abiti più
belli,
e distesa scoperta nella bara,
sarai portata nell'antica
cripta
dove giacciono tutti i Capuleti.
Intanto, prima che tu sia
ridesta,
Romeo, saputo del nostro disegno
da un mio messaggio, sarà
giunto qui
ad attender con me il tuo
risveglio,
e nella stessa notte di domani
potrà condurti a Mantova
con lui.
Così, se nessun ticchio
subitaneo,
se nessun panico da femminuccia
la vinceranno sopra il tuo
coraggio
all'atto di eseguire questo
piano,
tu ti potrai sottrarre alla
vergogna
che ti minaccia.
GIULIETTA -
Dammi, dammi qua!
Oh, non parlarmi, padre, di
paura!
FRATE LORENZO -
Ecco, prendi. Ora va'. Rimani
ferma
e serena nella tua decisione.
Io mando in fretta un mio
fratello a Mantova
con una lettera per tuo marito.
GIULIETTA -
Amore, dammi forza; la tua
forza
sarà il mio aiuto.
Caro padre, addio!
(Escono)
SCENA II - Stanza in casa
Capuleti
Entrano CAPULETO, MONNA CAPULETI,
la NUTRICE e due SERVI
CAPULETO -
(A un servo, porgendogli un
foglio)
Vammi a invitare tutte le
persone
che sono scritte qui.
(Esce il
1° servo - Al 2° servo)
E tu, messere,
vammi a cercare venti buoni
cuochi.
2° SERVO -
Non ne avrai uno che non sia
perfetto;
perch'io, signore, li esamino
prima:
guardo se sanno leccarsi le
dita.
CAPULETO -
E con questo che provi?
2° SERVO -
Eh, monsignore,
non è provetto cuoco
di mestiere,
quello che non si sa leccar
le dita;
perciò chi non si sa
leccar le dita
con me non verrà mai
a lavorare.
CAPULETO -
Bravo. Va', adesso. Ho paura
che in casa
non avremo provviste sufficienti...
(Alla Nutrice)
Mia figlia
è andata poi da Fra'
Lorenzo?
NUTRICE -
Sì, certo.
CAPULETO -
Beh, può darsi che
le giovi.
Che creatura ostinata, dispettosa!
Entra GIULIETTA
NUTRICE -
Eccola qua che torna. Confessata:
guardate che aria allegra.
CAPULETO -
Dunque, dunque,
dove è stata la nostra
testadura?
GIULIETTA -
Dove ho imparato come ravvedermi
del peccato d'aperta ribellione
a voi ed alle vostre volontà;
il buon Frate Lorenzo m'ha
ordinato
d'inginocchiarmi qui, davanti
a voi,
e domandarvi un paterno perdono.
Vogliate perdonarmi, vi scongiuro!
D'ora innanzi mi lascerò
guidare
solo da voi.
CAPULETO -
(Alla moglie)
Manda a chiamare il conte.
Anzi, vacci tu stessa di persona,
digli che voglio che questo
legame
venga annodato domattina presto.
GIULIETTA -
L'ho già incontrato
io, il giovin conte,
era alla cella di Frate Lorenzo,
e gli ho dato la prova d'affezione
che potevo, e che lì
si conveniva
entro i limiti della pudicizia.
CAPULETO -
Ah, son contento. Brava. Molto
bene.
Alzati, su. Così doveva
andare.
Voglio vedere il conte, eh,
sì, perbacco.
Vacci, ho detto, e conducimelo
qui.
Ed ora, lo dichiaro avanti
a Dio,
tutta Verona dev'essere grata
a questo santo e venerando
frate!
GIULIETTA -
Nutrice, vuoi venir nella
mia camera
ad aiutarmi a sceglier gli
ornamenti
più adatti al mio vestito
di domani?
MONNA CAPULETI -
Ma fino a giovedì c'è
ancora tempo.
CAPULETO -
No, no, nutrice, va' pure
con lei,
perché domani stesso
si va in chiesa.
(Escono
Giulietta e la Nutrice)
MONNA CAPULETI -
Piuttosto, siamo a corto di
provviste.
E ormai è quasi notte.
CAPULETO -
Macché, moglie!
Ora ci penso io a darmi attorno,
e vedrai che sarà tutto
per bene.
Va' da Giulietta, e aiutala
a vestirsi.
Io, stanotte, a dormire non
ci vado.
Tu lascia fare a me; per una
volta
farò io da massaia
in questa casa...
Ehi, gente, oh!... Com'è,
son tutti fuori?
Ebbene, vado io dal conte
Paride,
a dirgli di disporsi per domani.
Mi sento il cuore assai più
sollevato,
ora che quella bimba capricciosa
ha così messo la testa
a partito.
(Esce)
SCENA III - La camera da
letto di Giulietta
Entrano GIULIETTA e la NUTRICE
GIULIETTA -
Sì, quello lì
è il vestito più
adatto...
Ma ti prego, nutrice, sii
gentile,
stanotte proprio vorrei restar
sola;
ho gran bisogno di raccoglimento
per pregar molto e commuovere
il cielo
perché sorrida benigno
al mio stato,
ch'è così contrariato,
come sai,
e pieno di peccato.
Entra MONNA
CAPULETI
MONNA CAPULETI -
Ebbene, donne,
siete occupate, eh? Volete
aiuto?
GIULIETTA -
No, grazie, madre. Abbiamo
scelto tutto
quanto era necessario e conveniente
pel mio abbigliamento di domani.
Perciò, se non vi spiace,
madre mia,
consentite che io, per questa
notte,
rimanga sola, e che la mia
nutrice
resti con voi, perché
sicuramente,
avrete da sbrigare molte cose
per un evento così
improvvisato.
MONNA CAPULETI -
Va bene, buona notte, figlia
mia.
Mettiti a letto; ce n'avrai
bisogno.
(Escono
Monna Capuleti e la Nutrice)
GIULIETTA -
Addio!... Dio sa quando ci
rivedremo...
Sento scorrermi per le vene
un tremito
di paura, non so, che mi dà
il senso
di raggelarmi il calor della
vita...
Le richiamo, per sollevarmi
un po'...
Nutrice!... Già, ma
che farebbe, qui?
Per recitar la mia macabra
scena
devo agire da sola... Vieni,
o fiala!...
E se per caso, poi, questa
mistura
non dovesse produrmi alcun
effetto?...
Dovrò sposarmi domattina?...
No!
Ci sarà sempre questo
ad impedirlo!
(Prende
un pugnale e se lo pone accanto)
Tu resta
qui... E se fosse un veleno
che il frate m'ha somministrato
apposta,
astutamente, per farmi morire,
e non sentirsi lui disonorato
per queste nozze, essendo
stato lui
a maritarmi prima con Romeo?
Ho paura che sia proprio così...
Eppure, no, a pensarci, non
può essere...
s'è dimostrato sempre
un tal sant'uomo...
Ma che succederà, Vergine
Santa,
se, messami a giacer nella
mia tomba,
mi dovesse accadere di svegliarmi
avanti che Romeo venga a salvarmi?...
Ah, che dubbio terribile è
mai questo!
Non potrò rimanere
soffocata
in quella tetra sotterranea
volta,
attraverso la cui fetida bocca
non entra un filo d'aria salutare,
e, prima ancor che giunga
il mio Romeo,
là morire asfissiata?...
E se sto viva,
non può darsi che la
notturna tenebra
e l'orrido pensiero della
morte
e il terrore del luogo - quella
cripta
antico sotterraneo ricettacolo
dove l'ossa di tutti gli avi
miei
per secoli si sono ammonticchiate;
dove Tebaldo, ancora sanguinante,
che poc'anzi era verde sulla
terra,
s'imputridisce già
nel suo sudario...
e dove a una cert'ora della
notte,
come dicono, appaiono gli
spiriti...
ohi! ohi!... se mi svegliassi
innanzi tempo,
che potrebbe succedere di
me,
in mezzo a quel nauseabondo
lezzo
ed a stridii che paion di
mandragole
quando sono divelte dalla
terra,
e che fanno impazzire chi
li ascolta?...
Oh, Dio, se mi svegliassi
in quel momento,
circondata da tutti quegli
orrori,
non rischierei d'uscire fuor
di senno,
da mettermi a giocare, come
pazza,
con l'ossa dei miei avi?...
Ed a strappar dal suo lenzuolo
funebre
il martoriato corpo di Tebaldo?
E in questo eccesso di pazzia
furiosa
brandire un osso di qualche
antenato,
e con quell'osso, a guisa
d'una clava,
farmi schizzar le spente mie
cervella?
Oh, ecco, ecco, ch'io vedo
lo spettro
di mio cugino che insegue
Romeo
che l'ha infilzato... No,
ferma, Tebaldo!
Eccomi a te, Romeo. Lo bevo
a te.
(Ingerisce
il contenuto della fiala
e cade riversa sul letto)
SCENA IV - La sala grande
di casa Capuleti
Entrano MONNA CAPULETI e
la NUTRICE
MONNA CAPULETI -
Tieni Nutrice, prendi queste
chiavi
e va' di là a cercar
delle altre spezie.
NUTRICE -
In cucina, per la pasticceria,
chiedono datteri e mele cotogne.
Entra CAPULETO
CAPULETO -
Muovetevi! Muovetevi! Due
volte
ha già cantato il gallo.
La campana
del coprifuoco ha suonato:
son le tre.
Tu, mia buona Angelica,
provvedi per le torte e gli
sfornati,
e non badare a spese.
NUTRICE -
Andatevene a letto voi, piuttosto,
smettete di rubar l'altrui
mestiere:
se ancor restate in piedi
tutta notte
domattina vi sentirete male.
CAPULETO -
Mi sentirò benissimo,
al contrario.
Per men gravi ragioni,
son stato in piedi notti sopra
notti,
al mio tempo, e non son mai
stato male.
MONNA CAPULETI -
Eh, certo, che sei stato un
gran gattone
ai tempi tuoi! Ma adesso ci
son io
a badar che non fai certe
nottate!
(Escono
Monna Capuleti e la Nutrice)
CAPULETO -
Ora c'è lei, Madama
La Gelosa!
Entrano
SERVI con spiedi, legna e
canestri
Che cos'è
quella roba, giovanotto?
1° SERVO -
È roba per il cuoco,
monsignore;
ma a che serva, non so.
CAPULETO -
Presto, sbrighiamoci.
(Esce il
1° Servo)
Tu, amico,
va' a cercare della legna,
ben secca e stagionata. Chiama
Pietro,
ti dirà lui dove potrai
trovarla.
2° SERVO -
Ho anch'io, signore, un capo
sulle spalle
capace di trovare legna secca
senza bisogno di seccare Pietro.
CAPULETO -
Toh, sentilo, il faceto birboncello!
Ti chiameremo allora "coccia
secca"!
Oh, ma qui si fa giorno,
e fra non molto il Conte sarà
qui
coi musicanti, come aveva
detto...
(Musica
di dentro)
Eccoli,
infatti, arrivano!
Nutrice! Moglie! Olà,
moglie, nutrice!
Entra la
NUTRICE
(Alla Nutrice)
Va' a svegliare Giulietta,
e aiutala a vestirsi e ad
abbigliarsi.
Io vado intanto a intrattenere
Paride.
Ma vedi di sbrigarti. Presto!
Presto!
Lo sposo è già
venuto. Presto, dico!
(Escono)
SCENA V - La camera di Giulietta
Giulietta è distesa
sul letto
Entra la
NUTRICE
NUTRICE -
Padroncina!... Padrona!...
Su, Giulietta!...
Perbacco, se la dorme della
grossa!
Sveglia, agnellino mio, madamigella!
Ah, dormigliona!... Sveglia,
dico, amore!
Signora, cuore mio, signora
sposa!
Come sarebbe... perché
non rispondi?
Ho capito, vuoi farti la provvista.
Vuoi dormire per una settimana;
perché stanotte, te
lo garantisco,
il conte già riposa
sull'idea
di farti riposare molto poco.
Dio mi perdoni, Vergine Santissima,
certi pensieri... Ma che sonno
duro!
Però debbo svegliarla,
ad ogni costo.
Madamigella, su, madamigella!
Sì, sì, fatti
trovare ancora a letto
dal conte Paride, vedrai che
sveglia
ti darà lui allora,
e che spavento!
Oh, no!... Ma come mai! Tutta
vestita?
Ti sei vestita, e poi di nuovo
a letto?...
Eh, ma bisogna proprio che
ti svegli.
Signora, su... signora, su,
signora!...
Oh, Dio! Oh, Dio! Aiuto! Aiuto!
Aiuto!
La mia padrona è morta!...
Oh, che disgrazia!
Oh, non fossi mai nata!...
Ohilà, voialtri!
Dell'assenzio!... Signore
mio! Signora!...
Entra MONNA
CAPULETI
MONNA CAPULETI -
Che sono queste grida?
NUTRICE -
Oh, che disgrazia!
MONNA CAPULETI -
Che c'è, che è
stato?
NUTRICE -
Guardate! Guardate!
O giorno maledetto!
MONNA CAPULETI -
Oh, me infelice!
Misera me! bambina mia! Mia
vita!
Torna in vita, riapri gli
occhi, guardami,
o ch'io muoio con te!... Soccorso!
Aiuto!
Chiamate aiuto!
Entra il
CAPULETO
CAPULETO -
Che vergogna è questa?
Fate scender Giulietta. Il
suo signore
è già arrivato.
NUTRICE -
Ma Giulietta è morta!
CAPULETO -
Lasciate che la veda... Oh,
Dio! Già fredda.
Fermo il polso, le membra
irrigidite,
la vita e queste labbra son
disgiunte
da un pezzo; è scesa
su di lei la morte,
come una brina fuori di stagione
sul fiorellino più
dolce del campo.
NUTRICE -
Oh, sciagurato giorno!
MONNA CAPULETI -
Ah, che dolore!
La morte, che me l'ha portata
via
per farmi urlare, mi lega
la lingua
e non mi fa parlare. Ah, che
dolore!
Entrano
FRATE LORENZO e PARIDE, con
musici
FRATE LORENZO -
Allora è pronta la
nostra sposina
per recarsi in cappella?
CAPULETO -
Pronta, sì,
Frate Lorenzo, ahimè,
ma per non fare di là
più ritorno!
(A Paride)
Figlio, la notte avanti alle
tue nozze
la Morte s'è giaciuta
con tua moglie.
Eccola là distesa:
un vago fiore
deflorato dal suo funesto
amplesso.
È la morte il mio genero,
oramai,
essa il mio erede: ha sposato
mia figlia;
e a lei dovrò lasciare,
in morte mia,
sostanze, vita, beni: è
tutto suo.
PARIDE -
Ho dunque atteso tanto questo
giorno
perché m'offrisse un
simile spettacolo?
MONNA CAPULETI -
Oh, giorno maledetto, sciagurato,
odioso, abominevole! O momento
il più atroce che il
tempo abbia mai visto
nel corso dell'eterno suo
cammino!
Io non avevo che questa creatura,
povera, sola, adorata bambina,
unica cosa al mondo della
quale
potessi compiacermi e consolarmi,
e la morte crudele l'ha strappata
agli occhi miei!
NUTRICE -
O giorno di sventura,
il più tristo ch'io
abbia mai vissuto!
O giorno, giorno, detestato
giorno!
Mai vidi giorno più
nero di questo.
O disgraziato, disgraziato
giorno!
PARIDE -
Tradito, divorziato, contrastato,
coperto di disprezzo, assassinato!
Morte esecrabile, tu m'hai
tradito,
rovinato per sempre, crudelissima!
O amore! O vita!... No, non
c'è più vita,
e sol riposto è nella
morte amore!
CAPULETO -
Oppresso, disprezzato, torturato,
odiato, ucciso! O sorte sciagurata,
hai voluto distruggere così
la nostra festa!... Figlia,
figlia mia!
Anima, più che figlia,
anima mia!
Morta!... La mia bambina non
c'è più,
e con lei è sepolta
ogni mia gioia!
FRATE LORENZO -
Pace, pace, signori!
Non si curano i mali coi lamenti.
Il cielo e voi aveste parte
insieme
a far questa fanciulla,
ed ora il cielo l'ha tutta
per sé;
ed è meglio per lei
che sia così:
voi non potreste togliere
alla morte
la parte vostra, il ciel serba
la sua,
e la mantiene nella vita
eterna.
Non era vostra somma aspirazione
il vederla salir sempre più
in alto,
e trovar nella sua elevazione
il vostro paradiso sulla terra?
Ed ora che è salita
tanto in alto,
oltre le nubi, al vero paradiso,
voi piangete? Se è
questo l'amor vostro
per vostra figlia, è
un amore distorto
perché impazzisce a
saperla felice.
Ben maritata non è
quella donna
che vive a lungo in stato
maritale;
meglio sposata è quella
che morte coglie ancor giovane
sposa.
Asciugate perciò le
vostre lacrime
e cospargete questa bella
salma
di rosmarino, e portatela
in chiesa,
vestita delle sue più
belle vesti,
com'è l'uso; ché
se pur la natura,
sensibile com'è, ci
spinga al pianto,
le lacrime che muove la natura
son motivo di riso alla ragione.
CAPULETO -
Tutti i preparativi da noi
fatti
per la festa, distratti dal
lor fine,
servano adesso a un tetro
funerale;
siano i nostri strumenti musicali
meste campane; sia funerea
pompa
la nuziale allegria; nenie
di morte
siano i nostri imenei; servano
i fiori
della sposa ad ornarne il
cataletto:
ogni cosa si muti nel suo
opposto.
FRATE LORENZO -
Vogliate ritirarvi, ora, signore;
e voi con lui, signora; ed
anche voi,
signor Paride; ognuno si prepari
a scortar questa salma alla
sua tomba.
I cieli già vi guardano
accigliati
per qualche vostra colpa;
state attenti
a non accrescere il loro dispetto
ribellandovi al loro alto
volere.
(Escono
Capuleto, Monna Capuleti,
Paride e Frate Lorenzo - La
Nutrice e i Musici cospargono
di fiori il letto di Giulietta
e ne tirano le cortine del
baldacchino)
1° MUSICO -
Beh, possiamo riporre gli
strumenti
e andarcene.
NUTRICE -
Sì, certo, brava gente,
ah!, riponeteli, sì,
riponeteli,
perché potete vederlo
voi stessi
che miserevole vicenda è
questa,
che ci ha lasciato un vuoto
doloroso.
(Esce)
1° MUSICO -
(Indicando il suo stomaco)
Sì, ma al vuoto si
può porre rimedio.
Entra PIETRO
PIETRO -
Musici, oh!, non ve ne andate,
musici!
Suonate, per favore, "Cuor
contento",
se mi volete dare un po' di
vita,
suonate "Cuor contento",
per favore!
1° MUSICO -
"Cuor contento"?
Perché?
PIETRO -
Oh, musicanti,
perché il cuore mi
suona "Cuore in pianto";
perciò suonatemi un
motivo allegro,
per confortarmi.
1° MUSICO -
Ma nemmen per sogno!
Non è questo il momento
di far musica.
PIETRO -
Non volete suonare, allora?
1° MUSICO -
No!
PIETRO -
E allora ve lo suono io.
1° MUSICO -
Che cosa?
PIETRO -
Non denaro sonante, certamente;
ma vi suonerò in faccia
uno sberleffo:
quello di menestrelli strimpelloni.
1° MUSICO -
E io a voi quello di zerbinotto.
PIETRO -
E io farò suonare la
mia daga
di zerbinotto sopra la tua
zucca,
e senza pause, ed a battute
piene
ti do del "re" e
del "fa". Prendine
nota!
1° MUSICO -
Sei tu che devi prenderla,
la nota,
se dici che ci dai del "re"
e del "fa".
2° MUSICO -
Metti via quella daga, per
favore,
e tira fuori invece un po'
di spirito.
PIETRO -
Allora state in guardia, col
mio spirito,
se rimetto nel fodero la daga:
è uno spirito duro
come il ferro.
Rispondete da uomini ai suoi
colpi:
"Quando
un dolore ti ferisce il cuore,
"e dolorose nenie opprimon
l'anima,
"la musica col suo suono
d'argento..."
Ecco: perché
"col suo suono d'argento"?
Come rispondi tu, Simon Cantino?
1° MUSICO -
Chiaro: perché l'argento
ha un dolce suono.
PIETRO -
Buona! E tu che rispondi,
Ugo Ribeca?
2° MUSICO -
Dico... vediamo un po': "suono
d'argento",
perché i musici suonan
per l'argento.
PIETRO -
Buona anche questa! Sentiamo
ora te,
Giacomino dell'Anima, che
dici?
3° MUSICO -
In coscienza, non so proprio
che dire.
PIETRO -
Ah, scusami! Tu sei quello
che canta!
Vuol dire che rispondo io
per te.
Si dice "musica dal suon
d'argento"
per via che i musici, in generale,
non sentono suonar monete
d'oro,
"E
allor la musica dal suon d'argento
"fa loro subito il cuor
contento".
(Esce)
1° MUSICO -
Che mariuolo pestifero è
costui!
2° MUSICO -
Impiccatelo, pezzo di furfante!
Andiamo, adesso, passiamo
di là,
aspetteremo che venga la gente
che dovrà prender parte
al funerale,
e resteremo qui pel desinare.
(Escono)