L’utilizzo dell’esperienza teatrale a scopo terapeutico comprende diverse proposte: dallo psicodramma alla drammatizzazione corporea, dal gioco drammatizzato all’animazione teatrale, tutte accomunate da un riferimento metodologico comune: l’elemento gioco, inteso non solo nel suo aspetto ludico e creativo ma come momento di autentica espressione di sé. Il fulcro del lavoro consiste nell’assunzione di un ruolo. Il protagonista propone una storia da rappresentare scegliendo egli stesso i ruoli da attribuire agli altri componenti del gruppo; ovviamente le situazioni che si drammatizzano riguardano momenti significativi della vita del protagonista, che diventa così l’oggetto del lavoro terapeutico. È molto importante che il conduttore sappia creare un clima di empatia e di fiducia reciproca, in cui ognuno si senta ben accolto sia dagli altri membri del gruppo che dal terapeuta.
La scena diviene quindi uno spazio aperto al gioco, il luogo del “come se”, che comporta la possibilità di rivivere un evento più volte e quindi di affrontarlo in modo profondo, attraverso un processo di rielaborazione del fatto rappresentato. Con questo tipo di tecnica il soggetto rivive lo stato di onnipotenza infantile, crea personaggi, gioca a essere un altro oppure se stesso; questo particolare processo è favorito dal setting: una stanza accogliente e silenziosa in cui sono presenti vari elementi che possono eventualmente aiutare a immedesimarsi in un determinato ruolo. Il conduttore, oltre a organizzare la scena e a indicare le regole da seguire, ha soprattutto il compito di dare forma ai contenuti emotivi, attraverso un intervento di supporto e chiarificazione. In Italia la terapia a mediazione teatrale fatica ad affermarsi nel campo delle terapie artistiche; ben diversa invece la situazione all’estero, negli Stati Uniti e in Inghilterra ad esempio, dove è ufficialmente riconosciuta la figura del drama therapist.
A cura di Rossella Bruzzone