Balletto in due quadri
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Coreografia | Adolph Bolm, successivamento ripreso da George Balanchine per i Ballets Russes di Diaghilev |
Musica | Igor Stravinski |
Prima rappresentazione | Washington, 27 aprile 1927 nella versione di Bolm. Nella versione definitiva di Diaghilev, Parigi, 12 giugno 1928 (direzione d’orchestra dello stesso Stravinski) |
Cenni storici
L’Apollon Musagète è un balletto in due quadri composto da Igor Stravinskij nel 1927. A partire dal 1919 con la suite “Pulcinella” Stravinskij aveva aperto il periodo neoclassico confermato con l’opera-oratorio “Oedipus Rex” (1926/27). Stabilitosi ormai in Francia, lo tentava l’idea di comporre un balletto in omaggio al Seicento francese
[…] ispirato a qualche momento o episodio della mitologia greca, la cui plasticità avrebbe dovuto essere trasfigurata dalla danza cosiddetta classica.
L’occasione si presenta quando la mecenate americana Elizabeth Sprangue Coolidge gli commissiona una composizione su soggetto libero, della durata di circa mezz’ora, adatta a un piccolo organico, per il Festival di musica contemporanea della Library of Congress di Washington. Stravinskij scelse come soggetto, frequente nei Ballets de cour seicenteschi, il mito greco di Apollo che istruisce le Muse e le conduce al Parnaso. Il numero delle muse fu ridotto a tre:
- Calliope, musa della poesia;
- Polimnia, musa dell’arte mimica;
- Tersicore, musa della danza.
Il balletto è strutturato rigidamente in pezzi chiusi secondo lo stile tradizionale del balletto classico (pas d’action, variations, pas de deux, coda) e, per esso, Stravinkij ridusse l’organico strumentale a un’orchestra d’archi formata da violini I e II, viole, violoncelli I e II e contrabbassi.
La prima rappresentazione si ebbe a Washington il 27 aprile 1928 con la coreografia di Adolph Bolm. Evidentemente l’allestimento non soddisfece il compositore che offrì subito dopo la partitura a Sergei Diaghilev, impresario dei Ballets russes, per i quali Stravinskji aveva già creato diversi balletti tra cui L’oiseau de feu, Petrouchka, Le Sacré du printempse le orchestrazioni della Bella Addormentata di Chaikovski e del balletto Chopiniana (Les sylphides) su musiche di Chopin.
La prima rappresentazione europea avvenne, quindi, il 12 giugno 1928 a Parigi con la direzione dello stesso Stravinskji. La coreografia era stata affidata al ventiquattrenne George Balanchine. Da questo momento inizia una collaborazione fra i due artisti che formeranno una coppia che segue e anticipa le altre 2 grandi coppie della storia della danza: Chaikovski-Petipa alla fine dell’800, e quella Cage-Cunningham tra il 1942 e il 1992.
L’impianto scenico e i costumi subirono varie modifiche e, un processo di eliminazione del superfluo è continuato negli anni successivi, in tutte le direzioni, anche per quanto riguarda scenografia e costumi. Fino ad arrivare alla soppressione del prologo con il parto di Leto e la nascita di Apollo nel 1979. Questa è la versione definitiva del balletto che viene rappresentata ancora oggi.
Gli estratti del balletto che prendo in esame provengono da questa ultima versione di Balanchine e comprendono le singole variazioni delle muse, la seconda variazione di Apollo, il pas de deux, la coda e l’apothéose finale.
La variazione di Calliope ha come epigrafe due versi di Boileau (poeta e critico della corte di Luigi XIV)
Que toujours dans vos vers le sens coupant les mots
Suspende l’hémistiche et marque le repos.
Si tratta di due versi alessandrini (caratterizzati da due emistichi di sei sillabe separati da una cesura) e di un chiaro riferimento al Seicento francese. Le prime quattro battute in 6/8 sembrano voler riprodurre le caratteristiche dell’alessandrino sia con i violini che con il pizzicato dei violoncelli II. La coreografia si adegua e presenta due brevi corse concluse, sulle pause, da una posa.
Iniziano poi delle battute in 9/8 scandite da un ritmo giambico risolto, coreograficamente da dei piqués con posa sulla nota lunga o dei salti con la sospensione in aria sempre sulla nota lunga. Le braccia sottolineano l’eloquenza della musa sullo stesso ritmo. Le battute in 9/8 sono interrotte da accordi in 3/8 durante i quali Calliope si ripiega su se stessa.
La parte centrale della variazione è in 3/4.
La ballerina esegue dei piccoli saltelli in punta, quasi a suggerire il pizzicato degli archi. Seguendo questa cellula i movimenti non sono legati, ma ognuno di essi costituisce una piccola posa.
Anche la battuta in 4/4 conserva la stessa cellula ritmica: le prime due note con la pausa si vanno a unire alle ultime due della battuta precedente creando un disegno ritmico che Balanchine risolve suddividendolo con 3 passi e con un assemblé.
È da sottolineare il fatto che un passo spettacolare come un grand jeté sia inserito su due note del violoncello solo, quasi a voler sottolineare le pause di tutti gli altri strumenti mentre, tradizionalmente, questo salto si può trovare al culmine di un crescendo o a chiudere una variazione, comunque adeguatamente sottolineato dalla musica.
Dopo questa parte si ritorna al 9/8 e allo schema breve-lunga. Nelle ultime due battute lo schema si inverte e in questo caso non è più l’equilibrio che viene sottolineato, ma la chiusura dei passi. Emblematico, in questo senso, il momento finale in cui la musa sfida Apollo con un grand battement che si chiude però in ginocchio di fronte alla disapprovazione del dio.
La variazione di Polimnia è un Allegro caratterizzato dall’alternarsi del ritmo puntato, che ripropone lo schema giambico con veloci quartine di sedicesimi sottolineate alla quarta battuta dal pas couru della musa.
Dalla quarta battuta dopo il 45 le quartine di sedicesimi saranno costantemente presenti fino al finale della variazione, proposte di volta in volta dai vari gruppi di strumenti. La danza che ne risulta è vivace, con gli elementi tradizionali dell’allegro (salti e pirouettes), eseguita con l’indice alla bocca a simboleggiare il silenzio mentre l’altro braccio si muove nervosamente. Non ci sono equilibri tenuti a lungo ma i passi prevedono quasi tutti una dinamica come i grand battements sul ritmo (3 dopo 45) che servono a spostarsi in avanti trascinandosi la gamba a terra.
Subito dopo la musa esegue dei piqués en attitude seguendo gli sforzati delle quartine di sedicesimi, più lentamente nelle battute in 2/4 (uno ogni 2 quartine), più velocemente in quella in 3/4 (uno ogni quartina). Segue un alternarsi di battute in 2/4 e 3/4 in cui Polimnia alterna degli attitudes en tournant a dei piccoli passi saltati.
Polimnia esegue dei grandi salti con apertura delle gambe a 180º quasi riproducendo il simbolo del legato dei violini. Anche in questa parte possiamo vedere l’uso nervoso delle punte che ricordano i sedicesimi.
Al 50, invece, la musa esegue per tre volte la combinazione di pirouettes terminate in arabesque e chiuse con un grand battement sul ritmo: ancora un esempio dell’agilità fisica della musa.
Si ritorna poi ai piqués en attitudes sempre seguendo lo schema di derivazione giambica lunga-breve.
Nel finale vediamo l’ultima dimostrazione di Polimnia. Sul trillo dei violini e dei violoncelli la musa esegue una tripla pirouette sottolineando il senso di sospensione che si è creato.
Ma l’errore è in agguato e, sul pizzicato seguente, vediamo la musa in échappé con le braccia che riproducono simmetricamente la V delle gambe: alla musa dell’arte mimica è “scappata” una parola! Il punto coronato finale le dà la possibilità di inginocchiarsi per chiedere perdono al dio contrariato.
Tersicore, dea della danza, unisce il ritmo puntato con la velocità dei sedicesimi rappresentando, così, l’unione tra poesia e eloquenza del gesto.
La musa avanza “pizzicando” il suolo, come se stesse suonando la sua lira. Il punto coronato segna un momento di arresto. Tersicore ha fatto la sua entrée e si prepara a iniziare la sua variazione fermandosi in posa come succede in tutte le variazioni tradizionali.
Segue una ripresa del ritmo iniziale che lascia subito spazio a variazioni continue dello schema lunga-breve rese quasi impercettibili dalle legature. La musa avanza con dei piccoli salti en tournant che le permettono di attraversare la diagonale velocemente ma con fluidità, proseguendo con un manège di grand jetés che non temono il confronto con Polimnia.
Dal 54 un ritmo che è sempre una variazione del giambo è risolto anche qui con dei piqués en arabesque interrotti sulla serie da una camminata sui talloni che ricorda quella di Charlot. Elemento, questo, assolutamente “anti-accademico” visto che, di norma, il ballerino procede sempre appoggiando la punta del piede prima del tallone.
A questo punto seguono due développés i cui momenti chiave (inizio, attitude, conclusione in arabesque penchée) si trovano sugli sforzati dei violini II (2 prima di 55).
Nella parte seguente, sono presenti 4 fermate su punti coronati che permettono a Tersicore di fermarsi in posa dopo dei passi d’ispirazione moderna, nei quali il baricentro della ballerina viene “tirato” fuori equilibrio.
Tersicore prosegue, aumentando la velocità, con passi classici (attitudes e arabesques) fino al salto en tournant attaccato sul forte di violini e violoncelli.
Dal 56 inizia una sezione nella quale la musa scivola con movimenti tesi e uniformi senza curarsi dei crescendo e diminuendo. Ammetto di non essere riuscita a capire il ritmo seguito, non sono riuscita a trovare punti di riferimento.
Al 57, seguendo il ritmo giambico, Tersicore cambia tono ed esegue dei piccoli e veloci pas de bourrées con fine sulla breve.
Tre battute dopo 57 troviamo una pausa, che la ballerina sfrutta per iniziare una serie di grand battements prima di finire, sul trillo dei violini, con un lento cambré di fronte al dio. È da notare come lei sia l’unica musa a ricevere l’approvazione di Apollo e a non inginocchiarsi di fronte a lui. Ragion per cui, sarà lei a ballare il pas de deux con il dio.
La variazione di Apollo inizia su accordi maestosi in 3/4 su cui il dio afferma la sua origine divina protendendo le braccia all’Olimpo e aprendo il petto. Questa apertura ricorrerà più volte nel corso della variazione, non solo nelle riprese degli accordi iniziali, facendo del petto il centro espressivo di Apollo.
Dopo le prime 4 battute, dove vediamo l’alternarsi di 3/4 e 2/4 caratteristico di questa variazione, inizia la vera e propria esibizione del dio che alterna elementi rigorosamente accademici a passi moderni, ispirati allo sport. Infatti, sul veloce pizzicato dei violoncelli, Balanchine ha pensato di inserire degli entrechats terminati da un calcio.
Sull’ormai familiare ritmo puntato Apollo esegue dei piqués che lo portano in un’altra posizione che ritornerà più avanti, con un braccio teso in avanti e l’altro dietro la schiena. In questa posizione il dio apre e chiude alternativamente le mani sugli ottavi alternati di violoncelli da una parte, e violini e viole dall’altra.
Dopo un momento di legato, risolto attraverso un developpé avanti seguito da un temps lié, troviamo delle quartine di sedicesimi in 3/4 sulle quali Apollo si sposta eseguendo dei battements frappés .
Al 60, sulla serie di ottavi vediamo tornare l’idioma sportivo con una serie di calci che sembrano alludere, appunto, al gioco del calcio. Questi calci sono preceduti da un passo di preparazione sul ritmo.
Al 61 tornano gli accordi iniziali, dopo i quali, sul ritmo in 3/4, vediamo una camminata strana che potrebbe alludere alla corsa.
Ritorna anche la posizione con un braccio dietro e uno avanti; questa volta, però, si alternano il contrabbasso con il resto degli archi (3 prima di 63). Al 63 torna lo schema lunga-breve sul quale Apollo esegue dei piqués che si aprono verso l’alto e dei pliés richiusi su se stesso.
Tornano anche le serie di sedicesimi sulle quali il coreografo ha inserito dei movimenti spezzati e nervosi prima di tornare agli accordi iniziali.
Sul rallentando finale il dio si porta, girando su se stesso, alla posizione iniziale del pas de deux.
Vediamo i due ballerini in attesa di iniziare, tesi verso direzioni opposte, uniti solo dalla punta delle dita. Questa posizione amplifica il senso di sospensione creato dal punto coronato finale.
Il pas de deux di Apollo e Tersicore è stato definito il culmine melodico-lirico del balletto. Lo è sicuramente anche dal punto di vista della coreografia.
Si tratta di un adagio in 4/8. Ho già scritto della tensione creata alla fine della variazione di Apollo. Da questo contatto, segue un avvicinamento progressivo dei due personaggi che partendo dallo sguardo, man mano che entrano i diversi strumenti, arrivano a tenersi per mano. In questo modo, Tersicore ha un appoggio per eseguire il movimento simbolo dell’adagio: un lento developpé. Segue una promenade en arabesque che termina in arabesque penchée. Si tratta di un legato “danzante” che ripropone quello musicale, tutto è fluido senza stacchi bruschi, anche le pause sembrano inserirsi come naturale proseguimento del discorso. Nelle 3 battute nelle quali è collocata la “presa” notiamo un aumento dell’intensità.
Nella sezione seguente, sul ritmo dato dal pizzicato dei violini, si alternano gli arabesque penchée della musa e la camminata alla “Charlot” già vista precedentemente.
Dal 67 si ritorna a un legato, e ritroviamo il ritmo giambico. Su questo ritmo Tersicore viene fatta scivolare in spaccata a terra, per poi essere risollevata in arabesque.
Sullo stesso ritmo Apollo esegue dei demi-tours con la musa sollevata. Tersicore riempie lo spazio tra la lunga e l’inizio della breve (come fanno i pizzicati dei contrabbassi) con movimenti delle braccia.
A questo punto troviamo un “botta e risposta” fra la musa e il dio. Quest’ultima cellula ritmica viene poi ripetuta in una battuta in 3/8 durante le quali i ballerini si portano in arabesques simmetrici. Alla fine, però, c’è una temporanea sfasatura del ritmo seguito dal coreografo che riempie una pausa con un veloce cambiamento di gambe.
Dal 69, la stessa formula ritmica è ripresa in 4/8. Anche in questa fase vediamo abbandonare momentaneamente questo ritmo; per seguire, ad esempio, il pizzicato delle viole (2 dopo 69), creando anche una sfasatura di ritmo fra i due personaggi che si “recuperano” sul solito ritmo.
Verso la fine (1 dopo 70), vediamo ricomparire il ritmo giambico. Eeguito in legato permette a Tersicore di concedersi una lezione di nuoto sulle spalle di Apollo.
Sugli accordi finali vediamo il formarsi dell’ultima figura di questo pas de deux. I due ballerini sono in cambré e Apollo accoglie Tersicore nel suo arco formando, con lei, un’unica figura.
La coda è suddivisa in tre parti, segnalate da una battuta di silenzio e dalle diverse indicazioni agogiche: vivo (71-72), sostenuto (73-85), agitato (86-95+5).
Balanchine lascia scorrere due battute con Apollo e Tersicore, che hanno appena terminato il pas de deux, in posizione di riposo di fronte al pubblico. In realtà, si tratta di una posizione in tensione, visto che sono subito pronti ad attaccare con l’inizio della terza battuta. Il tempo è in 2/4 ma, naturalmente, non c’è niente che ricordi una marcia! C’è, invece, un disegno di sedicesimi che permette a Calliope e Polimnia di entrare in scena.
Al 72 troviamo un disegno più familiare, con la suddivisione in 4/8 ugualmente marcati. Balanchine rispetta questo disegno e costruisce un gioco di botta e risposta fra le due coppie (Apollo-Tersicore e Calliope-Polimnia) che eseguono gli stessi passi allontanandosi e avvicinandosi alternativamente dal centro. L’ultima battuta, in 3/8, è utilizzata per far uscire di scena Apollo e Tersicore e per la preparazione delle altre due muse.
Il tempo passa a 6/8 e la cellula ritmica torna ad essere la variante del giambo, mentre il ritmo è dato dall’unione di due coppie. Balanchine tratta diversamente questi valori, anche riallacciandosi alla linea melodica. All’inizio, per esempio, le muse compiono un movimento ondulatorio in due tempi. Subito dopo ci sono dei passi puntati che seguono la cellula ritmica fondamentale, seguiti da dei relevés arabesque con ritorno a terra in due tempi. Si ritorna poi al disegno precedente con dei demi-tours seguiti da veloci pas de bourrées.
Dal 76 il disegno ritmico cambia. Le muse alternano dei relevés arabesquea delle pirouettes eseguite simmetricamente.
Dal 78 si alternano un temps levé en arabesque e un grand jeté . La stessa combinazione è seguita sullo stesso ritmo anche nelle battute seguenti in 2/4.
Al 79, sulle terzine caratteristiche di questa coda, entra in scena Tersicore. Appena riprende il tempo in 6/8, la musa inizia un assolo che segue la linea dei violini, nello stesso tempo sottolinea con le punte il ritmo dato dai violoncelli. Ne risulta una danza “sincopata” dove gli accenti continuano a cambiare creando un senso di instabilità.
Entra in scena anche Apollo (2 prima di 82) e inizia un assolo nel quale ho perso un’altra volta i punti di riferimento. Musica e danza mi sembrano procedere in autonomia anche se, conoscendo le idee di Stravinskji e Balanchine, ci deve essere sicuramente un’intima connessione per quanto riguarda i tempi. Sono riuscita a ritrovarmi nella scena dell’altalena, dove il dio mostra la sua prestanza fisica seguendo il ritmo già incontrato.
All’86 inizia la terza sezione. Il ritmo è una variante in 2/4 di quello incontrato all’inizio. I quattro personaggi danzano insieme, dapprima semplicemente, sulle due battute vuote che segnano il ritmo, come era successo all’inizio della seconda sezione. Man mano che si arricchisce la linea melodica anche la coreografia si arricchisce con cambi di direzione e passi che si intrecciano con la melodia e portano, insieme ai cambi di intensità verso la scena del “carro”.
Sul ritmo giambico le muse, appoggiate alla mano di Apollo, eseguono, alternativamente, dei relevés arabesque e dei developpés iniziando a dare forma all’immagine del carro del dio del sole. Questa, diventerà chiara quando i quattro simuleranno una corsa sfrenata.
Le muse-destrieri eseguono dei relevés arabesques, con dei movimenti di testa e braccia che ricordano il movimento della testa dei cavalli in corsa. Apollo cerca di trattenerle in plié. Secondo me, e spero che Stravinskji non mi fulmini mentre lo scrivo, anche l’aspetto timbrico ricorda il nitrito dei cavalli. Comunque, è sicuramente una suggestione creata dall’immagine.
Dal 96 troviamo dei legati con cambi d’intensità. Il ritmo diventa più lento e i personaggi avanzano verso il proscenio con movimenti fluidi.
Nelle ultime battute, sulle scale di ottavi sopese con delle legature di valore, il dio gira su se stesso si ferma, spaesato ed esausto.
Le muse sono premurose e, sul pizzicato, lo sollecitano a riposarsi fra le loro braccia.
Gli accordi di violini e viole risvegliano il dio. Gli accordi di violoncelli e contrabbassi fanno inchinare le muse. Su questo alternarsi fra attrazione verso l’alto e spinta verso il basso si apre la fase conclusiva del balletto.
Apollo si sente richiamato da Zeus, le muse aspettano le decisioni del dio.
Su un tempo in 4, Apollo invita le muse ad alzarsi e le prende fra le sue braccia. Così “agganciati” incominciano a formare delle figure plastiche che si adattano al ritmo lento e ai cambi d’intensità.
Una volta in piedi, sempre restando uniti, si spostano intrecciandosi e sciogliendosi. I piedi seguono il tremolo di violini e viole, ma la figura nel suo complesso sembra seguire la formula giambica che ricorrerà fino alla fine.
Sciolto il gruppo, le muse si allineano davanti ad Apollo. Sul ritmo giambico reso solenne dagli accordi, le tre compagne si inchinano davanti al dio. Sullo stesso ritmo, Apollo le risolleva in punta tenendole per la mano.
Una prima di 101, gli ottavi di violini secondi e viole danno il ritmo per l’ascesa al Parnaso: Apollo guida le muse, Tersicore in testa, verso la loro nuova dimora.
Sugli ultimi tremolo, allungati dal punto coronato finale, si forma l’ultimo gruppo: le tre muse si uniscono alla schiena di Apollo, le diverse altezze dei loro arabesques insieme alle braccia tese del dio formano la figura del sole.
Una cosa che mi aveva colpito di questo balletto, la prima volta che l’ho visto qualche anno fa, era stata la sua “pulizia”. Non intendo solo la linearità e la chiarezza formale che sono tipiche delle coreografie di Balanchine, ma un generale senso di uniformità. Adesso so che anche la musica di Stravinskji tendeva a costruire questo effetto, con la scelta dell’orchestra d’archi che offre una minore varietà di timbri.
Il compositore era stato costretto a limitarsi da precise disposizioni che gli erano state imposte. Balanchine fu ispirato dalla partitura e si sentì spronato all’autolimitazione: “La partitura di Apollon sembrava dirmi che potevo, per la prima volta, osare e non utilizzare tutte le mie idee; che potevo anch’io eliminare. Limitando e riducendo quelle che sembravano essere le mille possibilità di approccio alla musica iniziai allora a vedere come potevo chiarire l’unica via davvero inevitabile”. Inevitabile, forse, è uno degli aggettivi adatti a questo balletto. La prima volta che ho visto il balletto mi è sembrato assolutamente perfetto, non c’era niente che avrei cambiato. Mi sono sentita trascinata, senza scossoni, fino alla conclusione che, pur essendo un momento plastico innovativo, mi è parso, appunto, inevitabile. D’altronde, sulla stessa musica, ci sono state poche altre versioni coreografiche, rimaste, comunque, in secondo piano. Rispetto, per esempio, alla quantità di “Sacré du printemps” presenti sulle varie scene mondiali. Personalmente la mia versione preferita del Sacré è quella di Pina Bausch, ma ammetto che ci sono altre versioni interessanti anche tra quelle di cui ignoro l’esistenza.
Sicuramente una certa convergenza d’intenti unisce Balanchine e Stravinskji. Questo balletto d’altronde li conferma come leader dei movimenti neoclassici nelle rispettive arti. Il compositore nelle Cronache della mia vita loda il lavoro di Balanchine, trovandolo aderente alle sue intenzioni, che erano quelle di creare un balletto nello spirito del ballet blanc e nello stile pulito della danza accademica. Forse non si rende conto, o non lo esplicita, che il neoclassicismo di Balanchine è avvicinabile al suo. Non si tratta di una mera riproposizione di formule e schemi del passato, ma di una rielaborazione aperta a contaminazioni moderne.
Da questa comune idea di neoclassicismo si possono rintracciare le differenze fra partitura e coreografia.
All’inizio ho accennato al fatto che Stravinskji, con questa composizione, voleva rendere omaggio al Seicento del Roi Soleil. Questo è visibile nel soggetto e nella riproposta dell’alessandrino, o nel continuo alternarsi fra parti soliste e totali che richiama la struttura del Concerto Grosso. Soprattutto si trova nel ritmo puntato che, nelle sue continue varianti, unisce le varie parti del balletto.
L’Apollo di Balanchine non ha niente del Roi soleil. Si tratta di una divinità assolutamente moderna e sportiva, per niente compassata.
Inoltre il senso di evanescenza, rintracciabile nel finale dell’Apothéose, non è assecondato dal coreografo che pare ricomporre, dopo la sfrenata coda, un ordine cristallino e sereno.
I due artisti erano sicuramente accomunati per il loro approccio puramente formale e per l’autonomia che riconoscevano alle due arti. La connessione fra danza e musica non doveva appiattirsi sul piano espressivo ma approfondirsi sul piano esecutivo. In altre parole, forse dobbiamo credere davvero che Balanchine arrivasse in sala prove con un metronomo, tanta era la sua paura di “interpretare” la musica, e di non rispettarne la struttura formale. D’altronde Balanchine richiede ai suoi danzatori semplicemente di eseguire la coreografia, non d’interpretarla, non c’è molto spazio per l’affermazione individuale. Analogamente Stravinskji implorava direttori e musicisti di non interpretare la sua musica.
A questo proposito, vorrei aggiungere una mia considerazione finale. Sicuramente il soggetto di Apollo e le muse è un pretesto per le intenzioni formali degli autori. Sicuramente l’azione non procede da intrecci di derivazione psicologica, ma si snoda solo da input formali.
Comunque, questo non ha impedito al balletto di emozionarmi profondamente, tanto che sono rimasta con un groppo in gola alla fine che mi impediva di applaudire. Anzi, gli applausi mi disturbavano parecchio! Il pas de deux evoca l’amore e la tenerezza non meno di un balletto narrativo.
È forse questa capacità di evocare sensazioni ed emozioni (ahi…), oltre alla perfezione (almeno, dal mio punto di vista) estetica, che non mi fa stancare di vedere questo balletto anche dopo l’overdose creata da questa tesina!
Estratto dall’Apollon Musagète – Interpreti Marta Romagna e Roberto Bolle
tesina di Fabiana Vurchio
Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione
A.A. 2001 / 2002
Fonti:
- Igor Stravinskij, Chroniques de ma vie, Paris, 1935; trad. it. Milano, 1979
- Carlo Migliaccio, I balletti di Igor Stravinskij, Mursia Editore, Milano, 1992
- Gianfranco Vinay, Stravinsky Neoclassico – L’invenzione della memoria nel ‘900 musicale, Marsilio Editore, Venezia, 1987
- Marinella Guatterini, L’ABC del balletto – La storia. I passi. I capolavori, Mondadori, Milano, 1998
- Charles M. Joseph, Stravinsky and Balanchine: a journey of invention. Yale University Press, 2002