Premesse e contesto storico
John Cranko (1927-1973) occupa un posto di rilievo nella storia della danza per la sua capacità di fondere la tradizione classica con una sensibilità drammaturgica e narrativa di ampio respiro, creando coreografie che hanno segnato la rinascita di importanti compagnie europee e la modernizzazione del repertorio ballettistico. La sua formazione, le sue prime esperienze creative nel contesto della danza anglosassone del secondo dopoguerra, l’apice della carriera raggiunto a Stoccarda e la sua tragica e prematura scomparsa delineano un percorso denso di avvenimenti e trasformazioni. La parabola artistica di Cranko è anche uno specchio della rinascita del balletto nella seconda metà del XX secolo, un periodo in cui le compagnie cercavano nuove voci creative capaci di portare l’arte coreutica oltre i confini ottocenteschi, avvicinandola ai gusti e alle tensioni della modernità.
L’infanzia in Sudafrica e la formazione a Cape Town
John Cyril Cranko nacque il 15 agosto 1927 a Rustenburg, nell’allora Unione Sudafricana (oggi Sudafrica), un contesto geografico ancora lontano dai centri europei del balletto classico. Figlio di una famiglia che, pur non appartenendo direttamente alla scena artistica, era sufficientemente aperta da permettergli di esprimere il suo talento fin da giovane età, Cranko crebbe in una società in trasformazione, dove le contaminazioni culturali e l’eredità coloniale coesistevano in maniera complessa. La sua inclinazione per le arti performative si manifestò presto, spingendolo a studiare danza classica a Cape Town, città in cui l’influenza della cultura europea era ben radicata e nella cui scuola di ballo dell’Università di Cape Town poté formarsi sotto guide esperte e competenti.
Seppure la scena sudafricana non fosse allora un polo artistico primario del balletto internazionale, quell’ambiente diede a Cranko l’opportunità di maturare una visione aperta e sperimentale. In questi primi anni egli cominciò a intuire la potenza del racconto coreografico, pur avendo come base il metodo classico. Non è azzardato supporre che la condizione multiculturale e la distanza dal vecchio continente lo abbiano stimolato a ricercare un proprio linguaggio sin da subito.
Il trasferimento in Europa e gli inizi a Londra
Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, i rapporti internazionali subivano forti torsioni, ma, terminato il conflitto, la scena artistica londinese divenne un crogiolo di rinascita creativa. Cranko giunse a Londra ancora molto giovane, portando con sé le speranze e l’ambizione di affermarsi come danzatore e coreografo. Entrò in contatto con il Sadler’s Wells Ballet (in seguito Royal Ballet), la compagnia diretta da Ninette de Valois, e fu in questo contesto che il suo talento trovò terreno fertile. Inizialmente impegnato come danzatore, Cranko si distinse presto per le sue qualità creative. Il suo spirito innovativo e la sua capacità narrativa si fecero notare, e ben presto si dedicò alla coreografia, rivolgendo sempre maggiore attenzione alla costruzione drammaturgica del balletto.
Il primo successo significativo giunse nel 1951 con “Pineapple Poll“, una vivace creazione basata sulla musica di Arthur Sullivan. Questa coreografia, che mescolava abilmente umorismo, vivacità, caratterizzazione dei personaggi e uso inventivo dello spazio scenico, gli valse una reputazione crescente nel panorama del balletto britannico. L’Inghilterra del secondo dopoguerra, in piena espansione artistica, offriva a giovani coreografi come Cranko un clima di apertura e sostegno creativo, consentendo loro di sperimentare nuovi linguaggi.
La maturazione coreografica
Negli anni Cinquanta Cranko sviluppò un’estetica coreografica personale, allontanandosi dal puro virtuosismo per valorizzare l’espressività dei danzatori e la dimensione narrativa. In un periodo in cui il balletto europeo tentava di ridefinire i propri canoni, Cranko si inserì nel solco di una tradizione che, da Michel Fokine a Frederick Ashton, passando per Antony Tudor, aveva rinnovato l’immaginario del balletto classico. Fedele a questa eredità, Cranko puntò a creare opere dove i personaggi non fossero semplici figure ornamentali, ma individui dotati di una psicologia, di un vissuto, in grado di comunicare emozioni complesse al pubblico.
In questo senso, l’elemento caratterizzante del suo stile coreografico fu la costruzione di una drammaturgia coerente, in cui la danza non si limitava a illustrare una storia, ma la incarnava. Il gesto coreutico si fece racconto, arricchendo il balletto di una dimensione teatrale densa di pathos e di tensioni emotive. Non a caso, la maturazione di Cranko come coreografo avvenne di pari passo con l’approfondimento del rapporto tra musica, azione scenica e personaggi, tanto che l’interprete non era più soltanto un esecutore, ma diventava narratore silente, capace di condurre lo spettatore dentro la complessità dell’intreccio.
L’arrivo a Stoccarda e la nascita del “miracolo” dello Stuttgart Ballet
La vera svolta nella carriera di Cranko giunse nel 1961, quando accettò la direzione del Balletto di Stoccarda (Stuttgarter Ballett). All’epoca, la compagnia tedesca non godeva di particolare prestigio internazionale. L’incarico affidato a un giovane coreografo sudafricano-britannico appariva dunque un azzardo. Eppure, la scelta si rivelò visionaria. Sotto la guida di Cranko, lo Stuttgart Ballet conobbe una straordinaria fioritura, passando in pochi anni dall’anonimato a diventare una delle formazioni più ammirate del panorama europeo. Questo fenomeno, talvolta definito come il “miracolo di Stoccarda”, è riconducibile alla capacità di Cranko di imprimere una direzione artistica chiara, un’identità stilistica forte e un repertorio accattivante e ben radicato nella tradizione, ma aperto a nuove sensibilità.
A Stoccarda, Cranko diede vita ad alcuni dei suoi capolavori narrativi. Nel 1962 creò “Romeo e Giulietta“, su musiche di Sergej Prokof’ev, un lavoro che, pur confrontandosi con la fama della celebre versione di Leonid Lavrovskij per il Balletto del Kirov (ora Mariinskij), seppe imporsi per la sua originalità e intensità drammatica. Questa produzione rafforzò la reputazione di Cranko come maestro del balletto narrativo, capace di restituire l’essenza shakespeariana attraverso il movimento, ponendo i danzatori come interpreti completi, unendo precisione tecnica e profondità espressiva.
Nel 1965 presentò un altro dei suoi capolavori: “Onegin“, basato sul romanzo in versi di Aleksandr Puškin e sostenuto dalla musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij (rielaborata da Kurt-Heinz Stolze). Qui Cranko raggiunse un equilibrio superiore tra struttura coreografica, narrazione e complessità emotiva dei personaggi. Il balletto – tuttora un pilastro del repertorio internazionale – è emblematico dell’arte di Cranko: i rapporti tra i protagonisti, la malinconia dell’incontro e della separazione, il destino crudele di un amore inespresso trovano nella danza un veicolo privilegiato di espressione. Non sono soltanto passi e figure, ma sentimenti tradotti in movimento, gesti che rivelano l’animo dei personaggi.
Altri lavori significativi a Stoccarda includono “La bisbetica domata“ (1969), ancora da Shakespeare, dove Cranko riuscì a mescolare la commedia, la caratterizzazione brillante dei personaggi e un’impegnativa coreografia d’insieme, e “Carmen“, in cui l’approccio narrativo è sostenuto da una forte caratterizzazione dei ruoli, ispirandosi più all’opera di Bizet che all’originale racconto di Prosper Mérimée.
Lo stile coreografico e la direzione della compagnia
Lo stile coreografico di Cranko si avvaleva di un vocabolario prevalentemente classico ma aperto a contaminazioni, arricchito da movimenti fluidi, passaggi a terra e una sincera attenzione alla mimica e all’espressione facciale. Al centro della sua poetica stava la convinzione che il balletto dovesse tornare ad essere “teatro danzato”, non mero sfoggio di virtuosismo. Tale visione si rifletteva nel metodo di lavoro con i danzatori: egli cercava di coinvolgerli nella creazione, stimolando la loro intelligenza interpretativa e la loro capacità di entrare nel personaggio. Molti interpreti – come Marcia Haydée, Richard Cragun e Birgit Keil – divennero celebri grazie alle sue creazioni, trovando nelle coreografie di Cranko un terreno fertile per esprimere al massimo il proprio potenziale artistico.
La direzione del Balletto di Stoccarda, per Cranko, non fu mera amministrazione: egli esercitava una leadership artistica carismatica, incoraggiando la sperimentazione, la coesione della compagnia e uno spirito di gruppo che favoriva la nascita di una vera e propria “famiglia artistica”. Questo clima di fiducia reciproca permise alla compagnia di affrontare tournée internazionali con grande successo, consolidando la reputazione di Stoccarda come uno dei principali centri ballettistici mondiali. Le creazioni di Cranko venivano accolte con entusiasmo dal pubblico e dalla critica, che ravvisava nella sua produzione una freschezza espressiva e un equilibrio tra tradizione e innovazione.
Collaborazioni e influenze
Cranko non fu mai un isolato. Nel corso della sua carriera ebbe contatti con numerose figure di spicco della danza, della musica e del teatro. Lavorò con compositori, scenografi e costumisti di grande sensibilità, in grado di tradurre in immagini e suoni le sue visioni coreografiche. Le scenografie, i costumi e l’illuminazione delle sue produzioni erano sempre curati con estrema attenzione, contribuendo a creare un contesto estetico coerente e suggestivo. Le sue storie prendevano vita non solo grazie alla danza, ma anche attraverso i colori, le luci e i dettagli scenici.
Dal punto di vista coreografico, Cranko s’inseriva nel solco della tradizione del balletto narrativo anglosassone sviluppata da artisti come Frederick Ashton e Antony Tudor. Tuttavia, la sua capacità di adattare testi letterari al linguaggio della danza fu del tutto personale: l’attenzione alle dinamiche interne dei personaggi, la tensione tra i ruoli maschili e femminili, l’alternanza tra momenti di grande drammaticità e scene leggere o umoristiche delineano un profilo stilistico riconoscibile, che avrebbe influenzato le generazioni successive.
La morte prematura e l’eredità
La carriera di John Cranko fu bruscamente interrotta dalla sua morte prematura, avvenuta il 26 giugno 1973. Reduce da una fortunata tournée negli Stati Uniti con il Balletto di Stoccarda, Cranko morì su un volo transoceanico, pare a causa di una reazione allergica o di un arresto cardiaco. Aveva solo 45 anni. La notizia sconvolse il mondo della danza: l’uomo che aveva trasformato il Balletto di Stoccarda in un faro del panorama coreutico internazionale se ne andava proprio nel momento di massima maturità artistica, lasciando incompiuti possibili ulteriori sviluppi del suo linguaggio.
Nonostante la prematura scomparsa, l’eredità di Cranko rimane vibrante. Le sue coreografie sono tuttora rappresentate dalle maggiori compagnie internazionali, e il Balletto di Stoccarda conserva gelosamente il suo repertorio, trasmettendone l’autenticità di generazione in generazione. Attraverso le sue opere, Cranko ha contribuito a dimostrare che il balletto narrativo non era un genere obsoleto, bensì uno strumento potente e moderno per raccontare storie universali, capaci di parlare alle emozioni più profonde del pubblico. La sua figura continua a esercitare un fascino considerevole su coreografi, storici della danza e appassionati, in quanto simbolo di una visione che seppe armonizzare tradizione e innovazione.
Conclusioni
John Cranko è stato uno dei principali artefici del rinnovamento del balletto nella seconda metà del XX secolo. La sua formazione ibrida, il suo passaggio dal Sudafrica all’Inghilterra e poi alla Germania, la maturazione di uno stile coreografico personale in cui la danza si fondeva con la narrazione, hanno reso le sue opere un punto di riferimento stabile nella storia della danza. La sua figura testimonia come l’arte coreutica possa evolversi mantenendo vivo il filo della tradizione, senza rinunciare alla ricerca di nuovi linguaggi espressivi. In questo senso, Cranko non è solo un grande coreografo del passato, ma un maestro sempre attuale, la cui lezione continua a vivere sui palcoscenici di tutto il mondo.
A cura di Alberto Soave