Milano e la Scala della seconda metà del secolo scorso raccontati nel libro di Luigi Sironi
Ho conosciuto Luigi Sironi nel lontano 1975. La maestra di danza classica della scuola di Genova di Mario Porcile, Maria Molina, lo aveva invitato affinché allestisse Schiaccianoci per il saggio di fine anno. Quando Luigi arrivò in scuola fu un subbuglio generale: credo che nessuna di noi avesse mai visto così da vicino un primo ballerino del Teatro alla Scala, per di più così bello.
Sironi aveva, e ha, dei lunghi occhi grigioverde straordinari. Ci siamo innamorate di lui tutte, anche se il suo carattere non era dei più facili. Abituato ai ballerini scaligeri credo che fossero parecchie le mancanze trovate in noi allieve di una scuola privata, benché la prima della città.
Le prove durarono qualche mese, lui veniva a Genova nei week end , quando non aveva impegni con la Scala e nessuno brontolava di dover andare in scuola anche la domenica. Il suo Schiaccianoci alla fine fu bellissimo e mi fece scoprire che oltre al Valzer dei Fiori nello famoso balletto di Tchaikovsky esisteva anche quello della Neve (forse ancor più bello) alla fine del primo atto, che nelle versioni precedenti a questa di Sironi noi non avevamo mai eseguito.
Dopo questa esperienza Luigi Sironi tornò a Genova per prendere parte a due delle edizioni dello Stage organizzato dal Festival Internazionale del Balletto di Nervi. Mario Porcile era ancora vivo, ma la scuola di danza di Via Luccoli era già diretta da Angela Galli che volle nuovamente Sironi per allestire il saggio di fine d’anno. Era il 1985 e quella volta Luigi montò la La Boutique fantasque, un balletto in tre parti creato da Léonide Massine che oltre la coreografia ne scrisse il libretto su musiche di Rossini. Ricordo che prese parte al balletto anche il papà della Galli nella veste del bottegaio creatore di giocattoli, mentre Angela danzò con Luigi il pas de deux dei due bambolotti innamorati. Io invece ballai nel can can.
Tutto questo ed altro ancora si trova nel libro appena uscito La mia vita alla Scala scritto a quattro mani dallo stesso Sironi e dal critico e storico della danza Michele Olivieri. “Luigi mi raccontava e io scrivevo – racconta Olivieri – e le cose che mi ha riferito della sua vita in Scala sono state davvero tante. Ho dovuto fare una cernita per il tanto materiale a disposizione. Comunque, dopo qualche anno di gestazione, che ha compreso anche gli anni del covid, si è arrivati alla fine con soddisfazione di entrambi” .
Una soddisfazione che è anche quella del lettore in quanto il testo di Sironi – Olivieri è piacevolissimo. A differenza di altri libri del genere infatti il loro è uno spaccato di un’epoca meravigliosa, senz’altro rimpianta e che non ritorna più. Sironi parla con amore della sua vita alla Scala come ballerino, della sua carriera, ma non si ferma lì. I suoi racconti vanno in profondità ripercorrendo la sua infanzia iniziata nel quartiere di Niguarda, nella zona settentrionale di Milano, precedentemente comune autonomo, e che venne annesso alla Metropoli solo nel 1923. Il ballerino viveva lì con la sua famiglia, papà operaio e mamma sarta, che come altri della sua epoca arrivò alla danza un po’ per caso, e che grazie a questo “caso” si vide la vita cambiata dall’oggi al domani. I primi tempi furono indubbiamente faticosi per un bambino della sua età, che doveva alzarsi presto per raggiungere il centro di Milano, arrivando alla lezione delle 8,30 già stanco ed ancora assonnato, ma il sacrificio ne valeva la pena e questo Luigi lo ha capito da subito.
Diventato solista nel 1965 fu notato da grandi coreografi che misero sempre in rilievo le sue qualità, fino a diventare primo ballerino nel 1983 quando arrivò in Scala Rudolf Nureyev. Del mitico divo Luigi fa un quadro più che mai veritiero: Rudy era un genio, certo, ma aveva un carattere terribile e ingestibile: quello che richiedeva erano ordini che venivano puntualmente eseguiti. Dai ballerini del Corpo di ballo esigeva il massimo facendo provare per ore senza tregua, il che portò anche a qualche danno fisico degli stessi. Ma tra colleghi non c’era solo sofferenza, anzi! Luigi, da quel burlone che era, si divertiva a fare scherzi dietro le quinte facendo ridere tutti mentre erano in scena. Per questo si beccò anche una multa dalla direzione.
Insomma il libro La mia vita alla Scala racconta soprattutto il grande legame che c’era a quei tempi fra colleghi, che spesso facevano anche le vacanze insieme, tra genitori e figli, fratelli e sorelle, mettendo in risalto che senza amore e passione non si va da nessuna parte. Luigi è infatti riconoscente ai suoi genitori per averlo aiutato e sostenuto nell’intraprendere una carriera particolare, soprattutto se si pensa al periodo storico di riferimento.
Ora che Sironi ha ottant’anni può giusto ricordare tutto il bello che ha avuto dalla vita, mettendo dentro anche qualche terribile disavventura che comunque è riuscito a superare con la forza che lo ha sempre contraddistinto. I suoi begli occhi grigioverde brillano ancora quando ricorda i personaggi prestigiosi che sedevano al palco reale del Piermarini, dall’Aga Khan a Grace Kelly fino all’armatore greco Onassis. Altri tempi! ripetiamo, quelli in cui vigeva il dress code per entrare in un teatro, non come adesso “che i giovani spesso entrano in teatro con le infradito. Il Piermarini è un teatro cui si deve portare assoluto rispetto” scrive il suo libro, e noi siamo perfettamente d’accordo.
Dopo l’epilogo La mia vita alla Scala si chiude con la cronologia artistica, curata dettagliatamente da Michele Olivieri, degli estratti dalle varie recensioni e un’intervista pubblicata in occasione della Tournèe Scaligera a Mosca quando ancora c’era l’URSS.
Il Libro è edito Gedi s.p.a. e lo si può acquistare a questo link.
Francesca Camponero
[Nella foto in alto: Sironi coi colleghi a Trieste]