Umanudità, per tornare a vivere
Sabato 27 marzo alle 21 sul canale Scene di YouTube (info www.stagionescene.it) abbiamo visto l’ultima fatica del Balletto Teatro di Torino intitolato “Umanudità”, di cui Viola Scaglione ha curato la drammaturgia del movimento e la regia insieme a Gigi Piana, mentre le riprese sono dei videomaker torinesi Ratavoloira.
Il Castello di Rivoli – Museo d’Arte Contemporanea diventa teatro per un giorno, un museo umano in movimento grazie anche alla splendida colonna sonora delle musiche di Piazzolla e Scarlatti eseguite da Mario Gullo e Massimo Pitzianti alternate a improvvisazioni che creano un tutt’uno con la danza. Ma quello che si vede non è propriamente danza. Lisa Mariani, Alessandra Giacobbe, Nadja Guesewell, Viola Scaglione, Flavio Ferruzzi, Paolo Piancastelli, Emanuele Piras percorrono lo spazio e attraverso le loro performance cercano di fondersi con esso.
Il video inizia con una suggestiva riproduzione di corpi sulle scale, poi iniziano i vari quadri.
- Alla musica della chitarra e della fisarmonica si contrappone la lentezza dei movimenti di una giovane. Il suo è un gioco delicato di dita. La ragazza ascolta e si ascolta e disegna nell’aria qualcosa di fluido di impalpabile.
- I lunghi capelli di lui sul pavimento sono accarezzati da lei ( Viola Scaglione) che sulla fronte gli pone dei piccoli sassolini che sembrano perle. Ma sono troppi ed allora ricadono sulla lunga chioma nera del giovane uomo, a lungo accarezzata e poi tirata dalla donna. Sono proprio i capelli a costituire l’unione fra i due. Le carezze al volto che la coppia si fa vicendevolmente confermano un desiderio di cercarsi, scoprirsi. Questo cercarsi diventa poi un dialogo acceso, quasi violento, ma no… sono solo scherzi d’amore. Alla fine lui le chiude nella mano tutti i sassolini, come a ridarle i doni ricevuti.
- La fisarmonica detta ogni movimento dei tre danzatori che si muovono a scatti. I loro gesti sono animaleschi, quasi fossero dei gallinacei. Un gioco divertente che cresce col crescendo della musica.
- Bionda, bella, fluida. Davanti a lei un grosso specchio diviso in 4 parti su cui vedersi, ammirarsi, forse capire di più di sè, confrontarsi e, perché no, anche consolarsi. Una montagna di vestiti usati dietro la statua di Afrodite rappresenta qualcosa che ci si è lasciati indietro, che non serve più. Qualcosa di dimenticato e da dimenticare.
- I 7 performers si ritrovano insieme. Si formano tre coppie, ma anche se la musica è quella di un tango, il loro danzare non è un tango. Il tutto si conclude a terra con i corpi chiusi in sé stessi come ostriche.
- Il finale prevede uno spazio chiuso, un corridoio spaziale, dove ognuno parla attraverso la gestualità che più lo rappresenta. È chiaro comunicare al pubblico quel senso di occlusione che ci riporta senz’altro al disagio che sentiamo tutti oggi per la privazione della nostra libertà.
In questo spettacolo che per un giorno ha fatto ritrovare insieme un gruppo di artisti: danzatori, musicisti, tecnici, collaboratori, videomaker e fotografo (Edoardo Pivi) si percepisce la voglia di ricominciare. E attraverso le note di Histoire du tango, Cafè 1930, Nightclub 1960, Concert d’aujourd’hui di Piazzolla, Sonata K141 di Scarlatti si capisce quanto sia importante non smettere mai di sognare che tutto torni come prima. In quanto il valore del rapporto, quello carnale, è tutto per gli uomini. Senza lo stare insieme nel corpo e nell’anima siamo finiti.
Francesca Camponero