Il Galà alla Scala dimostra la grande voglia di tutti di tornare a danzare
Diciamo la verità tutto il pubblico amante della danza non vedeva l’ora di tornare nel primo teatro italiano per rivedere i suoi amati ballerini scaligeri che, malgrado i mesi che li hanno tenuti lontani dalle sale di prova, ce l’hanno messa tutto per eseguire quei titoli tanto amati, che portano le firme coreografiche più importanti della storia del balletto.
Del resto pensare in questo momento ad un grande balletto narrativo con l’intero corpo di ballo e comparse in scena è ancora impensabile data la situazione covid, che purtroppo non accenna a finire. Ed allora evviva il Galà che per definizione è un’occasione solenne che richiede un certo apparato e in cui si fa sfoggio di eleganza.
La direzione artistica per incominciare la stagione danza si è valsa di una programmazione vincente con brani da Le Corsaire (coreografia Anna-Marie Holmes da Marius Petipa e Konstantin Sergeyev musica Riccardo Drigo, Boris Fitinhof-Schell, Yuly Gerber – Orchestrazione Kevin Galiè), da La Bella addormentata nel bosco (coreografia e regia Rudolf Nureyev – musica Pëtr Il’ič Čajkovskij) da Carmen (balletto di Roland Petit – musica Georges Bizet), da Le Parc (coreografia Angelin Preljocaj – musica Wolfgang Amadeus Mozart, inserendo anche La morte del cigno (coreografia Michail Fokin – musica Camille Saint-Saëns), un’inedito Do a duet (creazione di Mauro Bigonzetti – musica Wolfgang Amadeus Mozart) e terminando con Boléro (coreografia Maurice Béjart – musica Maurice Ravel).
Il teatro, osservando tutte le regole stabilite per l’emergenza covid, ha fatto entrare il pubblico ordinatamente in 4 file dai vari ingressi sulla facciata. Ed il pubblico, ordinato e paziente, con mascherina sul volto, aspettava di farsi misurare la febbre mostrando poi il biglietto rigorosamente avuto via mail. Entrati in sala, certo, l’effetto non è quello di sempre: non è mai successo di vedere la platea della Scala semivuota (o semipiena, se vogliamo essere positivi) in tutte le serate della sua storia, ma qualcosa è cambiato per tutti ad oggi, e tutti siamo consci di questo.
Anche il palcoscenico è cambiato. L’orchestra non è più nella buca, ma sul palco e i danzatori ballano in un proscenio allungato sopra appunto la buca dell’orchestra che è stata chiusa e ricoperta. Questo effetto però è bellissimo, in quanto la musica risulta di miglior sonorità ed accresce il valore della danza, grazie anche agli esecutori e alla direzione di Coleman. Anche i ballerini, venendo avanti verso il pubblico, li si sente più vicini e i loro volti non sono più lontani e irraggiungibili, anzi sembra quasi di poterli raggiungere non solo con gli occhi… ma anche con le mani, quasi a toccarli ed accarezzarli.
La serata si è aperta col Passo a tre nella grotta dei corsari con Medora (Martina Arduino), Conrad (Marco Agostino) ed Alì, in cui abbiamo nuovamente riscontrato la bella prestazione di Mattia Semperboni nella variazione dello Schiavo.
A seguire il duo femminile sull’Allegro con brio dalla Sinfonia n. 25 in sol minore K. 183 di Mozart con la coreografia di Mauro Bigonzetti. Un brano creato (forse troppo in fretta) dal coreografo romano appositamente per questo gala, in cui si ritrova la sua cifra stilistica, ma che non racconta nulla di nuovo e nulla di nuovo mostra nella sua evoluzione artistica. Ottime le due danzatrici, Antonella Albano e Maria Celeste Losa, danzatrici di tecnica e temperamento non indifferenti.
Claudio Coviello si è invece esibito con garbo nella melanconica e struggente variazione che Rudolf Nureyev ha affidato al principe Désiré nel secondo atto della sua Bella addormentata. Mentre a riportare in vita il sensualissimo gioco di seduzione tra Carmen e Don José nell’estratto da Carmen di Roland Petit, sono stati Nicoletta Manni e Timofeji Andrijashenko, applauditissimi in questo omaggio a Zizi Jeanmaire recentemente scomparsa, ispiratrice di questo iconico ruolo, in cui ancora oggi risulta ineguagliabile.
Dopo è stato il momento di un altro “cult” del repertorio classico e dei gala internazionali, La morte del cigno, vibrante nella sua eterea immagine di fragilità, incarnato da Svetlana Zakharova e qui davvero si è assistitoi alla grande danza. La ballerina russa ha interpretato la splendida coreografia di Michail Fokin come solo poche danzatrici oggi sanno fare. Delicata, leggera, appassionata in quelli che vogliono essere gli ultimi momenti di vita di quello splendido uccello che rappresenta la danza per antonomasia. È evidente che questa “regina del balletto” non ha sofferto di nessun lock down.
A chiudere il primo tempo il famoso passo a due da Le Parc creato da Angelin Prejocaj sulle note dell’Adagio dal Concerto per pianoforte e orchestra n.23 in la maggiore K. 488 di Mozart. Il noto e splendido brano è stato eseguito da Alessandra Ferri, al fianco di Federico Bonelli, principal del Royal Ballet, già presenti in Scala recentemente con Woolf Works. La Ferri ha come sempre tirato fuori tutta la sua capacità attoriale e per questo è stata premiata. È indubbio che la ballerina sia ancora molto amata dal pubblico milanese che le ha riservato grandi applausi anche questa volta.
Dopo l’intervallo, in cui ben pochi del pubblico hanno lasciato le loro poltrone, è stata la volta del tanto atteso Bolero con Roberto Bolle, che ha riportato sul mitico tavolo rotondo la potente sensualità e la trascinante intensità del balletto-icona di Béjart sulla musica Ravel. Bolle ha fatto mostra di un fisico perfetto, statuario e come sempre è stato acclamatissimo per tutto “il bello” che rappresenta. Ma ricordiamo che la versione béjartiana nasce con un’interprete principale femminile, la ballerina Dufka Sifnios. Dopo di lei tantissime étoile si sono cimentate in questo ruolo in questi ultimi cinquant’anni, da Luciana Savignano a Maya Plisetskaya, a Sylvie Guillem. Béjart ha anche voluto che il ruolo principale fosse interpretato da uomini. Meravigliosa e ancora straordinaria è l’interpretazione di Jorge Donn, danzatore prediletto da Béjart, le cui doti di danzatore sono molto differenti da quelle (pregiatissime) del “nostro Roberto”. Ottimo nell’esecuzione il Corpo di Ballo scaligero capace di suggellare quel turbinio di emozioni, che arrivano all’apice nel crescendo irresistibile.
Lo spettacolo è ancora in scena per l’ultima rappresentazione il 2 ottobre. Per il cast della serata consultare il sito www.teatroallascala.org.
Francesca Camponero
[Nella foto in alto: Roberto Bolle, Bolero]