José Limón, l’immigrato della danza
Con la danza voleva cambiare il mondo. Questo era José Limón che dentro di sé aveva il desiderio di riscatto dalla povertà, dalla guerra, dalle discriminazioni di emigrato.
Limón era nato in Messico, nel 1908, in una famiglia di dignitosa povertà (il padre era un musicista) e cresciuto in mezzo alla rivoluzione. Nel 1913 la città dove abitavano, Cananea, fu messa a ferro e fuoco dai federalisti e per tre giorni José e i suoi familiari si rifugiarono in cantina, dopo che uno zio era stato ucciso da una pallottola.
Più anziano di dodici figli, aspirante pittore, giunse a Los Angeles con la sua famiglia per studiare pittura. Egli arrivò alla danza più tardi quando a New York, dove si era trasferito per approfondire gli studi, assistette ad un recital di Harald Kreutzberg e Yvonne Georgi. Fu per lui una rivelazione e decise subito di dedicarsi alla danza iscrivendosi all’Humphrey-Weidman Studio.
Nel 1930 entra a far parte della stessa compagnia rivelandosi uno straordinario danzatore, ma è come coreografo che rivelerà a pieno titolo la sua personalità. Dalla fine degli anni trenta Limón si impegna nella creazione coreografica, influenzato totalmente dalle sue origini messicane e dalla sua sensibilità religiosa e sociale come Danzas Mexicanas (1939) dolorosamente ispirata agli eventi della guerra civile e spagnola, oppure The Traitor del ‘54 che narra delle vicende di Giuda e del suo tradimento.
Nel ’45 fonda la sua compagnia, dove riunisce danzatori come Betty Jones, la quale diventerà in seguito una delle più pure depositarie della Tecnica Limón. Per la propria compagnia chiamerà a coreografare la sua maestra Doris Humphrey che firmerà molte opere dal 1947 al 1954 (Day on Hearth, Lament for Ignacio Sancez Mejias, Night Spell, Ritmo Jondo e Felipe el Loco) principalmente destinate a mettere in risalto le sue doti di affascinante danzatore. Limón aveva splenditi lineamenti da indio, un bellissimo fisico e il suo gesto era ampio, nobile ed espressivo.
I ricordi di gioventù, a Cananea, affioreranno di continuo nella produzione coreografica di Limón – nella Mexican Suite, per esempio, dedicata ai rivoluzionari, ma anche nelle ricorrenti figure di eroi che lottano contro il destino avverso come in Psalm, maestosa opera del 1967 in cui si racconta la storia di un Giusto, uno dei 36 uomini che secondo la tradizione ebraica porterebbero nel cuore la sofferenza del mondo, o The Unsung, dedicata a sei capi indiani.
Limón visse in prima persona anche i disagi dell’immigrazione, nonostante all’epoca l’America fosse molto più permeabile di oggi. La famiglia entrò legalmente in Arizona, ma soprattutto la madre (un’india mezzosangue) non si adattò mai del tutto al nuovo mondo, imparò solo una manciata di parole inglesi e per il resto dipendeva dai figli come è successo a molte successive generazioni di immigrati. José, che veniva preso in giro a scuola per il suo accento, ne fece un punto d’onore d’imparare la nuova lingua meglio degli stessi nativi.
Il suo capolavoro assoluto rimane The Moor’s Pavane, del 1949. Coreografia che nel 1969 è stata introdotta nel repertorio dell’American Ballet Theatre a testimonianza dell’apertura della tecnica classica alla modern dance. Nel balletto su musica di Purcell, vediamo la modern dance fondersi armoniosamente con l’eleganza dei balli di corte, in particolare appunto la pavana. La Pavana del Moro, attinge all’Otello di Shakespeare, ed è il sigillo definitivo alla sua adesione alla cultura occidentale, l’opera perfetta, sintesi di equilibri dinamici e raffinatezza culturale. Senza che per questo il coreografo messicano dimenticasse le sue origini (vedi lavori come La Malinche, dedicata alla principessa india che aiutò il conquistatore Cortez, le frequenti tournée della sua compagnia in Messico, le borse di studio a giovani talenti sudamericani). Una parabola morale che Limón sigillò con la devozione alla sua maestra e decana della modern dance, Doris Humphrey, a cui affidò – caso più unico che raro – la direzione artistica della compagnia da lui fondata nel 1946.
Alla Hmphrey, nel 1963, Limón dedicherà Choreographic Offering su musica di Bach. Due anni dopo, nel ‘65 crea My Enemy con l’italo americano Louis Falco come interprete, anch’esso uno dei maggiori esponenti della linea Limón, tecnica è basata sul cedimento e la resistenza alla forza di gravità, con tutte le conseguenti implicazioni fisiche, filosofiche e psicologiche.
La Josè Limón Dance Company di New York, dopo la sua morte è stata diretta, fino al 2016, da una delle sue maggiori interpreti Carla Maxwell, per la quale nel 1972 Limón creò Carlota, un dramma che ricorda la tragedia di Massimiliano, imperatore del Messico e la disperazione di sua moglie Carlotta la quale, divenuta folle, rivede in sogno tutto il regno del marito.
Limón morì il 2 dicembre 1972, a Flemington, nel New Jersey, Stati Uniti. Oggi la Josè Limón Dance Company è diretta artisticamente da Dante Puleio, ex membro della compagnia.
Francesca Camponero
[In alto: José Limón]