Prossimamente a Londra arriva la compagnia della Bausch con Duke Bluebeard’s Castle
La storia crudele di un principe malvagio e delle sue mogli nascoste in una stanza. La storia conturbante di un uomo e una donna, ma anche di tante donne. Una storia che straborda di dolore e che ambisce alla ribellione. Questo è quanto racconta Blaubart. Beim Anhören einer Tonbandaufnahme von Béla Bartóks Oper “Herzog Blaubarts Burg” (Barbablù. Ascoltando una registrazione dell’opera di Béla Bartók “Il castello del duca Barbablù”), un lavoro di Pina Bausch che ha debuttato l’8 gennaio 1977 al Wuppertal Opera House e che dal 12 al 15 febbraio arriva alla Sadler’s Wells di Londra.
Lo spettacolo riprende, appunto, l’opera lirica Il castello del duca Barbablù di Bartók del 1911 (composta su libretto di Béla Balázs) e la fiaba di Charles Perrault rielaborata poi dai famosi linguisti e filologi tedeschi, i fratelli Grimm.
I protagonisti sono Barbablù e Judith, o meglio, i numerosi Barbablù e le numerose Judith, i tanti doppi che invadono una stanza bianca, le proiezioni di un uomo e di una donna, le mille sfaccettature di una relazione malata e complicata. Siamo in un ambiente claustrofobico in cui il tempo non esiste perché è il principe a decidere la tempistica delle azioni, dei ricordi e della musica. La stanza è una scatola soffocante in cui le mogli, con i loro abiti ingombranti e antiquati, sembrano coperte da un velo polveroso, come se fossero ninnoli dimenticati su un comodino. Le foglie secche, impotenti come Judith davanti a suo marito, ricoprono il pavimento e restano attaccate ai vestiti o ai capelli enfatizzando il tema della morte.
La figura maschile domina in tutto lo spettacolo, stabilisce il tempo della performance, spezza la colonna sonora così come spezza l’anima e la vita delle mogli. Gli interpreti rispecchiano perfettamente questo gioco degli opposti non solo espressivamente ma anche fisicamente. Se Barbablù è un ammaliatore che tenta di sedurre anche una bambola, Judith spera di essere apprezzata tentando un contatto fisico e cercando di attirare lo sguardo del suo amato. Viene messa in mostra la virilità dell’uomo che si contrappone alla fragilità di una donna incapace di abbandonare suo marito, anche se disumano e crudele. Un rapporto inquietante, tendente al sadomasochismo, in cui la figura femminile sembra sparire quando si mimetizza con l’ambiente appendendosi alle pareti.
“Duke Bluebeard’s Castle” è stato assente dal repertorio del Tanztheater Wuppertal Pina Bausch per 25 anni. Il suo ritorno quindi sul palco mostra che Pina Bausch ha lasciato dietro di sé un così grande lavoro che vale la pena di riproporre ed che lacompagnia dopo 10 anni dalla morte della Bausch non si sposta dal suo repertorio.
In questo splendido lavoro di Pina esce fuori tutto l’espressionismo tedesco e attesta l’interesse compulsivo della coreografa per il comportamento delle persone e le profondità delle loro menti. Quella della Bausch è una danza ingorda di vissuti, brulicante di umanità, bisognosa di sensazioni, desiderosa di emozioni. È un’arte che indaga, parte dal mondo interiore del singolo individuo, del singolo danzatore, per sfociare all’esterno. In questo caso specifico la Bausch utilizza lo spartito come punto di partenza per un’esplorazione spesso inquietante delle relazioni tra uomini e donne, tabù e trasgressioni.
Centodieci minuti di coinvolgimento totale all’interno di un’opera d’arte come solo Pina sapeva fare.
Francesca Camponero
[In alto: Barbablù]