Artisti all’Opera. Un Teatro sulla frontiera dell’Arte da Picasso a Kentridge
Il comunicato che annuncia l’apertura della mostra Artisti all’Opera. Un Teatro sulla frontiera dell’Arte ci ha colpito. Denota grande passione per un mondo nascosto, quello dietro le quinte, quello dei magazzini teatrali, spesso polverosi, caotici, bui, ma pieni zeppi di veri e propri tesori.
Qui si parla di Picasso, De Chirico, Casorati e di altri grandissimi artisti che, con il loro tocco, hanno contribuito a creare la magia unica di una rappresentazione teatrale, per definizione un momento unico e irripetibile, poiché effimero. Scene, costumi, arredi di scena hanno contribuito a rendere una rappresentazione indimenticabile per lo spettatore, per il critico e per il semplice appassionato chiamato a raccontare la storia della danza e del teatro, stimolandone la fantasia e solleticandone la memoria. Chi ha avuto la fortuna di visitare l'”altra parte” dei teatri, quella nascosta, dietro le quinte, prima o poi si è imbattuto in magazzini bui, caotici, pieni zeppi di casse, scatoloni, bauli, rotoli di stoffa ammassati in ogni anfratto e sa che, lì celati, possono trovarsi veri e propri tesori, opere di grandi artisti, pezzi di storia.
Sul sito del Museo di Roma potete trovare tutta la documentazione disponibile. Per ragioni di spazio, noi ci limitiamo a riportare, qui sotto, l’introduzione e il testo dell’intervento di Carlo Fuortes, Sovrintendente della Fondazione Teatro dell’Opera di Roma.
La Redazione di InformaDanza
Introduzione
Artisti all’Opera. Un Teatro sulla frontiera dell’Arte muove da una sfida paradossale: è possibile tradurre oltre un secolo di arte performativa in un percorso espositivo? La risposta è sì, ma a certe condizioni. Nel nostro caso sono tre: la storia del Teatro dell’Opera di Roma; un patrimonio artistico unico, non solo prodotto, ma anche conservato; un’idea espositiva.
Andiamo con ordine.
La storia di ogni teatro è di per sé eccezionale, testimonia non solo di eventi artistici che ne hanno segnato la vita e definito un pubblico, ma è anche lo specchio di una comunità che ha scelto di creare e difendere un luogo unico. La storia del Teatro Costanzi, dal 1928 Teatro dell’Opera di Roma, è stata in larga parte determinata dalla storia della Capitale e da quella del nostro Paese, ma ha una caratteristica che nel corso dei decenni l’ha reso inimitabile: è stato, costantemente, luogo d’incontro tra artisti. Non solo compositori, orchestrali, cantanti, costumisti, scenografi e registi ma anche pittori, scultori, disegnatori. In questo senso rappresenta al meglio la grande tradizione dell’Opera all’italiana, punto di incontro tra arti diverse, arte totale, che coinvolge la molteplicità dei sensi. Mascagni e Puccini, Callas e Pavarotti, Tosi e Caramba, ma anche Picasso, De Chirico, Burri, Kentridge… L’elenco è così lungo che è più semplice dire: il Teatro dell’Opera di Roma è stato la frontiera dell’Arte del Novecento, il luogo d’incontro delle Arti e degli Artisti, che si sono riuniti per creare qualcosa in comune, vissuto solo in un determinato momento, in scena.
La natura di un teatro dell’opera, continuamente impegnato nella produzione di nuovi spettacoli, inevitabilmente rischia di dimenticare il passato. Un teatro non è un museo. Siamo qui al cuore del paradosso, perché la mostra suggerisce che un buon teatro dovrebbe essere anche un buon museo, e avere cioè la capacità di conservare, forse non tutto, ma almeno parte significativa delle sue produzioni. Ed ecco il colpo di scena: il Teatro dell’Opera ha saputo farlo. Una vasta parte del patrimonio quotidianamente prodotto per oltre un secolo esiste, è stato meritoriamente conservato. Fin dal 1946 il Teatro decise di creare un archivio storico, realizzato però solo nel 2001, e che a oggi conserva oltre 60.000 costumi, 11.000 tra bozzetti e figurini e un numero imprecisato di creazioni scenografiche. Un tesoro inestimabile per la storia del teatro lirico, del costume, della scenografia, della musica, ma anche per quella della pittura e dell’arte contemporanea.
Come esporre dunque questo paradosso? Abbiamo scelto di seguire un percorso cronologico, cominciando dai due compositori che hanno segnato la storia del Teatro, Mascagni e Puccini, e proseguendo poi, sala dopo sala, con le creazioni più significative giunte fino a noi, in un fitto dialogo di opere d’arte, artisti e musica. Il racconto espositivo è fatto di continuità – spesso la stessa opera ritorna, da una sala all’altra, a distanza di decenni – ma anche di scarti e cambiamenti – ogni artista rilegge la stessa opera con diversa sensibilità.
Il progetto, che si realizza grazie alle luci di Mario Nanni e a Viabizzuno, non poteva che misurarsi con lo straordinario spazio che ospita questa mostra, il piano nobile di Palazzo Braschi, che per bellezza, eleganza, unicità e posizione è un vero palcoscenico. Alcune sale sono inevitabilmente destinate ad accogliere certe opere: lo stupefacente sipario di De Chirico creato per l’Otello di Rossini andato in scena nel 1964 non poteva che essere accolto nella sala delle feste di Palazzo Braschi, sospesa su Piazza Navona. La sua presenza e quella di altre opere di De Chirico trasformerà il salone in uno spazio metafisico. Allo stesso modo le altre sale del palazzo diventeranno tanti palcoscenici, in cui gli oggetti, come in una favola, aspettano noi spettatori, il nostro sguardo, per riprendere vita.
Come narrare un’arte performativa in assenza degli artisti? Abbiamo pensato per una volta di ribaltare la prospettiva e rendere i visitatori protagonisti di questa avventura. Entriamo, uno scampanellio ci avverte che l’opera sta per iniziare, varchiamo la tenda d’ingresso e… sorpresa: non siamo in platea, ma sul palcoscenico dell’Opera di Roma! Sentiamo un cantante che sta provando, ci aggiriamo per le sale del palazzo. Gli interpreti stanno per andare in scena, abbiamo il privilegio di vedere da vicino i costumi, i bozzetti, di sentire le voci dei tecnici del Teatro che stanno rifinendo gli ultimi dettagli. E mentre prendiamo parte a questo gioco, vediamo i figurini di Picasso per Il cappello a tre punte, i bozzetti di Prampolini, le maschere di Mirko Basaldella, i mobiles di Calder, il West di Ceroli, il cretto di Burri per November Steps, i costumi e la maquette di Pomodoro per la Semiramide di Rossini, scoprendo così una nuova frontiera della pittura e dell’arte: quella del Teatro dell’Opera.
Testo di Carlo Fuortes
Originale, lungo e innovativo è stato il percorso che ha segnato il Teatro dell’Opera di Roma, dalla sua nascita al prestigio che l’ha accompagnato fino ai giorni nostri, e che presentiamo in questa mostra prodotta con Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, in collaborazione con la Fondazione Cineteca di Bologna. Una storia che inizia negli anni di grande fermento che hanno portato Roma, divenuta Capitale d’Italia nel 1871, al centro di importanti trasformazioni sociali, artistiche e culturali. La visione borghese si fa largo, letteralmente, tra le strade della giovane Capitale attraverso iniziative e progetti di una nuova classe sociale che vuole aprirsi al mondo e mostrare tutta la sua energia, in chiara discontinuità con il vecchio mondo aristocratico legato alla Chiesa. In questo clima si plasma il sogno di un imprenditore edile, Domenico Costanzi, di creare un Teatro Lirico a Roma con una vocazione moderna, internazionale, che possa conquistare il nuovo pubblico borghese grazie a una programmazione innovativa, sensibile alla sperimentazione attraverso l’apertura a nuovi linguaggi e il dialogo con le altre arti. Frutto della tenace ambizione del suo fondatore, da cui ha mutuato il nome che ancora oggi porta, l’edificazione del Costanzi viene commissionata nel 1879 ad Achille Sfondrini. Il risultato del progetto realizzato dall’architetto milanese privilegia l’impianto sonoro grazie a una struttura a ferro di cavallo, sormontata da una splendida cupola affrescata dal perugino Annibale Brugnoli: finalmente la Capitale ha la sua “casa” per l’opera. L’obiettivo è convincere un pubblico nuovo ad abitarla. Terminato in soli diciotto mesi, il Teatro Costanzi viene inaugurato il 27 novembre 1880 con Semiramide di Gioachino Rossini, alla presenza del re Umberto I e della regina Margherita. E allo stesso Costanzi rimane la gestione diretta del Teatro, orfano di una guida pubblica dello Stato, che rifiuta di prendere in carico il nuovo Teatro. Questo “vuoto” diventa il punto di forza e la caratterizzazione del Teatro lirico capitolino che cercherà la propria specifica identità rispetto agli altri teatri in un dialogo indipendente e fecondo con le diverse forme artistiche. Sarà merito dei Costanzi, padre e figlio, portare sul palcoscenico del teatro della Capitale prime assolute di opere divenute poi capisaldi del repertorio operistico universale. Due titoli su tutti, Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni che debutta nel 1890 e Tosca di Giacomo Puccini, per la prima volta in scena il 14 gennaio 1900. I primi decenni del Novecento, sotto la guida lungimirante di Emma Carelli, prima cantante e poi direttrice del Teatro, vedono la scena romana protagonista di tante novità. Arrivano le voci più autorevoli del mondo dell’arte e dello spettacolo. Tra gli altri, i leggendari Ballets Russes di Diaghilev e artisti come Pablo Picasso, Giorgio de Chirico, Enrico Prampolini: nomi che segnano l’assalto del moderno nell’arte, della musica, della danza e di conseguenza delle arti figurative che fino a quel momento si ignoravano tra loro. Nel 1926 intanto il Comune di Roma acquista il Costanzi che diviene “Teatro Reale dell’Opera”. Il passaggio merita una ristrutturazione, affidata all’architetto Marcello Piacentini, che sposta l’ingresso del Teatro sulla piazza, che sarà poi intitolata a Beniamino Gigli, per dare maggiore spazio al numeroso pubblico che ne affolla i portici durante le rappresentazioni. Gli interni vengono impreziositi con nuove decorazioni. Su tutte svetta il maestoso lampadario che, con le sue ventisettemila gocce di cristallo, illumina la platea dal 27 febbraio 1928, giorno della seconda inaugurazione con Nerone di Arrigo Boito. Nel 1946 anche il Teatro abbraccia la nuova Repubblica Italiana e diviene “Teatro dell’Opera di Roma”. Sono gli anni delle grandi voci, come quella di Maria Callas, il cui costume di Turandot è possibile ammirare all’interno del percorso espositivo. Nel 1958, in previsione delle Olimpiadi del 1960, viene affidato ad un ulteriore e definitivo restyling, sempre ad opera di Piacentini. Gli anni Sessanta, periodo di grande fermento culturale e artistico, si contraddistinguono per un’ulteriore virata nel segno dell’interdisciplinarità. Dal mondo dell’arte Renato Guttuso, Alexander Calder, Alberto Burri, da quello del cinema Luchino Visconti e Franco Zeffirelli, da quello della moda Armani e Valentino, fino alle recenti incursioni di altri grandi artisti internazionali come Bob Wilson, Terry Gilliam, William Kentridge, Sofia Coppola, tenendo viva una tradizione votata alla sperimentazione. Tutti con la loro arte hanno lasciato orme indelebili sulla scena del Teatro dell’Opera di Roma che, in questa prima grande mostra ospitata nella propria città, ha l’ambizione di restituire centotrentasette anni di memoria, ripercorrendo il cammino di un grande teatro internazionale, segnato dalla stessa innata vocazione per la bellezza della sua città.
Info:
Artisti all’Opera.
Il Teatro dell’Opera di Roma sulla frontiera dell’arte
Da Picasso a Kentridge (1880 – 2017)
Museo di Roma a Palazzo Braschi
Piazza Navona, 2; Piazza San Pantaleo, 10
Apertura al pubblico
17 novembre 2017 – 11 marzo 2018
Dal martedì alla domenica dalle ore 10 – 19
(la biglietteria chiude alle 18)
Giorni di chiusura: lunedì, 25 dicembre, 1 gennaio
Biglietto “solo mostra”: intero € 9; ridotto € 7; Speciale Scuola € 4 ad alunno (ingresso gratuito ad un docente accompagnatore ogni 10 alunni); Speciale Famiglia: € 22 (2 adulti più figli al di sotto dei 18 anni)
Biglietto integrato Museo di Roma + Mostra (per non residenti a Roma): intero € 15; ridotto: € 11
Biglietto integrato Museo di Roma + Mostra (per residenti a Roma):
intero € 14; ridotto € 10
Info
Tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 19.00)
www.museodiroma.it; www.museiincomune.it
[Foto in alto: Giacomo Manzù, bozzetto per Oedipus Rex, 1964, tecnica mista su cartone]