Balletto in un atto |
Coreografia | Bronislava
Nijinska | Musica | Maurice
Ravel | Prima rapppresentazione | Parigi,
Opéra, Balletti di Ida Rubinstein, 22 novembre 1928 | Interpreti
| Ida Rubinstein, Anatole Vilzak | Scenografia
e Costumi | Alexandre Benois |
Al centro di una taverna, una ballerina gitana danza su un tavolo. Intorno a lei
si aggirano uomini assetati d'ebbrezza. I gitani danzano insieme alla ballerina
fino a quando il parossismo della danza li travolge. Questa
versione, la prima, fu portata alla Scala di Milano dalla compagnia della Rubinstein
il 28 febbraio 1929, per quattro rappresentazioni. Accanto a lei danzavano, oltre
al partner abituale Anatole Vilzak, Frederick Ashton, Birger Bartholin, William
Chappell, Alexis Dolinoff, Roman Jasinsky, David Lchetechstein (Lichine), Harijs
Plucis, Yurek Shabelewsky, Serge Unguer. L'orchestra era diretta da Ernest Ansermet. In
seguito Milloss portò in tournée in Italia una sua versione. Fu
dapprima al Teatro dell'Opera di Roma il 20 giugno 1944 (interpreti principali:
Attilia Radice e Ugo Dell'Ara; scena e costumi di Dario Cecchi), poi alla Scala
in varie riprese (1947,, 1948, 1952, 1954, 1975) e infine, sempre con il complesso
di ballo della Scala, in rappresentazioni fuori sede, a Firenze (Giardino di Boboli,
1947), Torino (Teatro Lirico, 1948), Verona (Arena, 1948), Comeo (Arena Sociale,
1951), ancora Torino (Teatro Nuovo, 1951), omo (Arena, 1952) e, in ultimo a Genova
(Teatro Comunale Carlo Felice, 1952). Il corpo di ballo del Teatro dell'Opera
di Roma portava il Bolero, nella versione Milloss, a Bologna nel 1951 e
all'estero, a Madrid e a Barcellona, nel 1948. La coreografia di Milloss du usata
anche, con i corpi di ballo dei vari teatri, a Buenos Aires, Rio de Janeiro, San
Paolo e Colonia. Tra le danze popolari spagnole il bolero
è senz'altro da considerare fra le più affascinanti. la sua stessa
origine risalente alla metà del Settecento ci riporta a una tradizione
di nobile eleganza. Aveva un ritmo calmo in 3/4. Con l'andare del tempo ebbe un'evoluzione
abbastanza significativa in quanto riuscì a ispirare anche la danza d'arte
propriamente detta, specie quella dell'epoca romantica (si pensi al famoso Bolero
danzato da Maria Taglioni e ai bolero appartenenti al repertorio ballettistico
dell'Ottocento). Ma anche la musica concertistica è stata attratta dal
fascino di questa danza, tant'è vero che abbiamo illustri esempi persino
nelle opere di svariati grandi musicisti (per citarne uno, Ludwign van Beethoven).
Come danza popolare, pertanto, ha continuato a subire varie metamorfosi, al punto
che la forma originaria esiste ormai soltanto nella leggenda. Il bolero, come
lo conosciamo oggi, sia nella sua forma concertistiche che come balletto, è
assai diverso. È rimasto spagnolo solo nello spirito e perdino il ritmo
appare alterato. È diventato un fatto puramente poetico, un'allusione a
quello che nell'arte è onirico, un'immagine riflessa dei misteri del mondo
ispanico.Questo accadde anche con Maurice Ravel quando compose il suo Bolero,
forse i più famoso. È noto che l'idea gli
venne quasi per caso. La danzatrice Ida Rubinstein aveva pensato a un balletto
di carattere spagnolo, da presentarsi nel corso della stagione della sua compagnia
per l'autunno 1928 all'Opéra di Parigi. Tale balletto, secondo l'aspirazione
della Rubinstein, avrebbe dovuto utilizzare musiche pianistiche di Albeniz, ma
in una versione orchestrale rielaborata per il gusto contemporaneo. . Si rivolse
perciò a Ravel, cui l'idea non dispiacque. Nel corso delle riflessioni
sul da farsi , accadde che la sua attenzione fu deviata verso un tema melodico
che aveva sentito durante le sue peregrinazioni nei Pirenei. Gli echi di quel
motivo lo tentarono e la tentazione gli divenne via via più urgente del
lavoro intrapreso su proposta della danzatrice. Si impegnò dunque in questo
non progettato lavoro sentendo il bisogno di anteporlo a quello che gli era stato
commissionato. Ne nacque in tal modo un'opera che, proprio grazie alla matematica
perfezione della sua struttura formale, riuscì a dare espressione a quella
verità interiore che tanto lo aveva ossessionato nell'udire gli echi di
quella parte della penisola iberica. Il ritmo e la forma del Bolero raveliano
non sono rigorosamente quelli dell'originaria danza popolare ma sono appunto quelli
di una vicissitudine artistica e quindi ormai chiaramente poetica. Ravel,
terminato questo lavoro, non si sentiva più di affrontare anche la realizzazione
di un balletto ortodossamente spagnolo, come avrebbe potuto essere se avesse rispettato
rigorosamente le fondamentali caratteristiche delle musiche di Albeniz, volute
dalla Rubinstein. Propose perciò alla danzatrice il suo nuovissimo Bolero,
che venne accettato. La concezione dello spettacolo, però - stranamente
- non rivelava un'originalità analoga a quella della musica raveliana,
dal carattere prettamente sinfonico. Tale concezione, infatti, ignorando la struttura
architettonica della partitura musicale, si ispirava esclusivamente alla sua espressività
drammatica. Finì quindi per diventare non molto diverso da un balletto
d'azione più o meno consueto: si creò un ambiente adatto a fare
da sfondo a un intrico di passioni, e cioè quella taverna gitana dove tutto
si concentrava sulle provocazioni sensuali della "bailarina" che danzava
su un tavolo attorno al quale un gruppo di uomini delirava nella folle ebbrezza
della contesa. La realizzazione coreografica fu affidata a Bronislava Nijinska
la cui creazione corrispondeva pienamente alla concezione prescelta dalla Rubinstein
stessa. Così pure vi corrispondeva la scenografia ideata da Alexandre Benois. Secondo
le testimonianze della cronaca dell'epoca, il successo fu notevole, ma gli storiografi
raccontano che si affievolì con il passare del tempo. Tant'è vero
che la stessa Rubinstein, illudendosi che una nuova coreografia ne avrebbe potuto
risollevare le sorti di questo balletto, affidò a Fokine l'incarico di
prepararne una nuova versione (1935), che a sua volta non incontrò maggiori
favori. Sia la Nijinska che Fokine, entrambi grandissimi coreografi, si limitarono
a corrispondere al compito loro proposto, cioè realizzare una coreografia
secondo i dettami di una concezione già prestabilita da altri. Alle
prime due, fecero seguito molte altre versioni coreografiche. La stessa Bronislava
Nijinska mise in scena per la propria compagnia una sua seconda versione nel 1935,
con lei stessa protagonista a fianco dell'Anatole Vilzak già partner della
Rubinstein nella prima. Dieci anni dopo questa versione fu ripresa dall'International
Ballett (Compagnia del Marquis de Cuevas). Harald Lander rielabrò una sua
interpretazione nel 1934 per il Balletto Reale Danese e, nel 1941, Serge Lifar
preparò la sua per il complesso dell'Opéra di Parigi. Fra
le altre edizioni coreografiche del capolavoro raveliano vanno ricordate quelle
di Pilar Lopez e di Argentinita (1943), ma, soprattutto, quella di Aurelio Milloss
in un ininterrotto cammino di riprese, di nuovi allestimenti, di interpretazioni
molteplici, di numerosissime repliche. Vanno citate anche le versioni di Tatiana
Gsovsky (1946), di Maurice Béjart (1961), di Leonida LavrovskY (1964) senza
contare le interpretazioni solistiche che costellarono la scena coreografica del
mondo intero, da Anton Dolin (1932), a Dore Hoyer (1950), a Juan Corelli (1970,
un assolo femminile presentato anche al Festival di Spoleto, per i Concerti di
danza. Il Bolero nella versione di Maurice
Béjart La versione più famosa del Bolero
è comunque quella coreografata da Maurice Béjart per il suo Ballet
du XXème Sieclerappresentata il 10 gennaio 1961 al Théâtre
Royale de la Monnaie di Bruxelles, protagonista Dufka Sifnios, balletto disegnato
sulla personalità di questa danzatrice. Un gruppo di ragazzi stanno tutti
intorno al tavolo sul quale la protagonista balla, dapprima immobili, poi incitati
ed eccitati dal ritmo crescente, sino al parossismo finale. Da
allora, il Bolero di Béjart-Ravel è stato visto molte volte
in Italia anche nell'esecuzione di altre compagnie. Ricordiamo le recite all'Arena
di Verona nel 1977 (con la compagnia di Béjart al gran completo rinforzata
da nostri elementi, fra cui Carla Fracci) e alla Scala, con Luciana Savignano
alla quale la parte si adatta a meraviglia. Contrariamente
alle versioni precedentemente citate, nelle quali si rimaneva più o meno
fedeli ai principi della prima concezione, che vedeva tutto come gioco ambientale,
il Bolero béjartiano, come del resto quello millossiano, è
volto all'astratto. Con il passare degli anni è stata abbandonata l'illustrazione
oleografica di un ambiente per orientarsi sempre più verso una conflittualità
di posizioni e, al tempo stesso, di travaglio drammatico scartando gli elementi
pittorici al pari di quelli letterari. L'ossessivo plié della ballerina
è non solo punteggiatura del ritmo raveliano, ma elemento conduttore del
rito e del gioco sino all'incandescenza catartica. A misura che l'irradiazione
dell'evolversi musicale aumenta, si compongono cerchi concentrici come emanazione
diretta da un punto: quello della donna, illuminata nel centro della scena, come
se da un sasso gettato nell'acqua dipartissero tanti circoli piccoli e poi sempre
più grandi. Lo stesso coreografo ci descrive la sua opera: «Una melodia,
simbolo femminile morbido e caldo, di una inevitabile unicità si avvolge
senza posa su se stessa, un ritmo maschile che pur restando lo stesso va aumentando
di volume e intensità, divora lo spazio inghiottendo infine la melodia».
Scartato ogni carattere ispanico, Béjart ricusa il pittoresco folclorico
e si comporta come fece in precedenza con la musica di Stravinski per le Sacre
du printemps (Sagra della primavera). Ripiega sul suono fisico del crescendo
musicale e gli applica sopra la spinta del desiderio sensuale. Così Béjart
vuole «la donna inguainata da una calzamaglia color carne e nera, piedi
nudi... gli uomini progressivamente esacerbati dal crescere del desiderio che
li fa alzare dalle loro sedie pochi alla volta, prima quattro, poi otto... per
andare incontro alla donna sino a gettarsi sulla tavola che toccano con le loro
mani dilaniate dalla bramosia. Mentre la donna ondeggia, si piega in avanti, le
braccia di volta in volta annodate e snodate come una sciarpa con la quale essa
si vela e si svela, gli uomini martellano il suolo, gli avambracci portati avanti,
le anche ondeggianti, essi intrecciano una farandola con ampi inginocchiamenti
secondo il gusto greco turco». E tutto questo con
una sobrietà quasi incredibile per un autore pleonastico come Béjart.
Il rituale erotico si compie così in un'atmosfera quasi astratta. In varie
riprese del BoleroBéjart affidò il ruolo principale a un
interprete maschile (Jorge Donn, Charles Jude, Patrick Dupond, Jean-Pierre Franchetti
e altri) lasciando inalterato il coro maschile, solo sporadicamente sostituito
da uno femminile. Nel film Bolero di Claude Lelouche
viene usata la versione interamente maschile , con Jorge Donn protagonista. Ne
derivano nuovi significati, altre possibilità, un'emotività diversa
che non intaccano, e forse accrescono, il successo, sempre a livelli clamorosi. |