Per Curt Sachs "la danza è la madre delle arti",
perché a differenza sia di musica e poesia, che si determinano nel tempo,
che di arti figurative e architettura, che si determinano nello spazio, vive ugualmente
nel tempo e nello spazio. Danzando, l'uomo, con il suo stesso
corpo, ricrea un "movimento ritmico in una successione spazio-temporale,
senso plastico dello spazio, viva rappresentazione di una realtà visiva
e fantastica", prima ancora di affidare il risultato della sua esperienza
alla materia, alla pietra, alla parola. Tutto è presente nella danza: il
corpo, che nell'estasi trascende divenendo ricettacolo della potenza dell'anima;
l'anima, per l'appunto, che trae felicità e gioia dall'accresciuto movimento
del corpo liberato d'ogni peso; il bisogno di danzare, perché la proprompente
gioia di vivere strappa le membra dal loro torpore; il desiderio di danzare, perché
chi danza acquista un potere magico che elargisce vittoria, salute, vita; un legame
mistico, che nella danza unisce la tribù, e il libero manifestarsi della
propria individualità". Djamaladdin Rumi, poeta
persiano derviscio, esclama: "Colui che conosce il potere della danza, vive
in Dio". "La danza, espressione motoria ordinata che sin dagli antenati
animali per manifestare l'estrema tensione spirituale, si sviluppa e si allarga
fino a divenire ricerca della divinità, mezzo consapevole di comunione
con forze che, al di là dell'umano potere, determinano il destino". Nei
popoli primitivi, ogni avvenimento importante viene consacrato dalla danza, perché
"la danza è vita a un grado più elevato e intenso". Questa
affermazione, con il suo carattere definitivo, sottolinea il carattere universale
della danza, ma non è una definizione che possa servire da punto di partenza
per considerazioni di ordine scientifico. Definire la danza è difficile,
forse addirittura impossibile. Infatti, anche se tentiamo delle classificazioni
antitetiche, quali gioco-lavoro o legge-libertà, delle attività
umane i contenuti si confondono, proprio perché tutte le attività
dell'uomo sfuggono a una rigorosa classificazione. In prima
analisi, sembra quindi di poter definire la danza come "movimento ritmico,
anche se in questo modo non giungiamo a una netta distinzione rispetto ad altri
movimenti ritmici, quali correre, remare e così via. Rispetto a queste
tipologie di movimento, la danza può essere distinta soltanto attraverso
qualificazioni di carattere negativo. Se tentassimo attribuzioni
positive, riusciremmo soltanto a essere imprecisi: l'attributo "giocoso",
se applicato alla danza (movimento ritmico giocoso) porterebbe automaticamente
a escludere tutte le danze di carattere religioso; allo stesso modo, l'attributo
"non utilitario" ci farebbe escludere le danze magiche. Forse
potremmo indicare quanto dovrebbe essere escluso come qualcosa connesso al lavoro.
Ma in esso si può collocare tutto ciò che nella vita di ogni giorno
viene indicato come "pratiche", ovvero ogni forma di lavoro manuale,
come pure il camminare, il suonare il violino o i gesti del direttore d'orchestra.
Gli aspetti ritmici dello sport e della ginnastica, però, escludono certamente
il motivo del lavoro. In questo caso il confine tra la danza e queste attività
verrebbe meno. Escludiamo quest'ultima delimitazione, per evitare di associare
al concetto danza esclusivamente il gruppo delle danze atletiche o guerriere. Alla
luce di queste considerazioni, definiremo danza "ogni movimento ritmico non
condizionato dal lavoro". Fin qui non abbiamo ancora
nominato la parola arte. La danza non è arte nell'accezione corrente del
termine, perché questo, nel suo significato attuale allo stesso tempo troppo
ampio e troppo limitato (e, aggiungiamo noi, troppo spesso adoperato a sproposito),
non riesce a rendere compiutamente la pienezza di vita della danza. Ma l'arte
- se viene intesa come riproduzione dei fenomeni percepiti dalla vista e dall'udito,
come qualcosa che dà forma e sostanza alle esperienze inafferrabili e irrazionali
dell'inconscio e che nel processo creativo fa provare la felicità dell'estasi
e dell'oblio di sé - non ne viene automaticamente esclusa. "Ben
presto - sempre per citare Curt Sachs -, già nell'età della pietra
la danza diventa opera d'arte, finché, sulla soglia delle civiltà
avanzate dell'età dei metalli, il mito se ne impossessa e la eleva al rango
di dramma; ma quando nelle civiltà superiori essa diviene arte nel senso
più stretto del termine, allorché diviene oggetto di spettacolo
e la sua influenza è rivolta agli uomini e non più ai demoni, il
suo universale potere si spezza, si frantuma. Gioco ed esercizi fisici rinunciano
al ritmo e non partecipano più al carattere della danza, il dramma stesso
rinnega le sue origini coreutiche e le nuove religioni disconoscono il valore
della danza sacra. Quanto codeste civiltà, specialmente l'europea, hanno
conservato si è scisso in arte professionale e in divertimento mondano.
[...] Ma ciascuna civiltà racchiude ancora in sé, come germe spirituale,
la nozione sublime che «danza» è ogni movimento soprannaturale
e sovrumano. Il pensiero di Curt Sachs, che finora abbiamo
citato e parafrasato, lascia perplessi ed è sicuramente assa diverso dall'idea
che oggi abbiamo di arte in generale e di danza in particolare. Ma come può
la danza essere al di sopra dell'arte, caso mai è una forma di espressione
artistica, un'arte a sé stante... Proprio qui sta, invece, il fascino della
definizione di Sachs: trascende dagli schematismi e dalle categorizzazioni tipiche
del pensiero soprattutto europeo degli ultimi secoli, per arrivare alla concezione
universale di qualcosa che non necessita di linguaggio, sovrastrutture teoriche
e conseguenti interpretazioni, ma che parte direttamente dal profondo dell'Uomo
inteso come corpo, anima e volontà e ad esso ritorna. |