La Rumba

La rumba è un’allegria del tango“. Così dice in una sua canzone Paolo Conte, appassionato interprete di ritmi americani. Nel senso che tango e rumba sono figli di uno stesso antenato, l’habanera, danza cubana con radici spagnole. Ma questo padre comune ha dato origine a due fratelli molto diversi fra loro, uno di pelle chiara e uno di pelle scura.

In Argentina ed Uruguay l’habanera ha fatto crescere il passionale e malinconico tango, un ballo che si può definire di anima europea; a Cuba ha invece dato vita alla rumba, danza sensuale e vitale, dall’anima certamente nera. Alla base di questi ritmi ci sono perciò influenze musicali sia europee che africane. Ma queste ultime, le più vitali, si sono fatte sentire molto di più nell’isola caraibica, perché qui fu massiccio l’arrivo di schiavi africani, importati per lavorare nelle piantagioni. Durante l’epoca coloniale, infatti, secondo alcuni calcoli, sbarcarono come schiavi a Cuba 600.000 africani. In Argentina ne arrivarono, invece, circa 100.000.

Non è un caso allora che una così consistente presenza africana, con la sua tradizione e ricchezza musicale, nell’arco di poco meno di quattrocento anni, cioè dalla scoperta di Cristoforo Colombo al 1898 (data dell’indipendenza dell’isola), abbia trasformato Cuba nella “madre” di gran parte dei ritmi latini.

L’aggettivo “afrocubano”, in campo musicale, sta ad indicare proprio le influenze e le contaminazioni che hanno dato vita non solo alla rumba, ma anche al mambo, al cha cha cha, al salsa. Cuba, in pratica, è è sempre stata una terra fertile in fatto di sonorità, di ritmi e di balli.

Inizialmente, sull’isola venivano praticate principalmente tre varianti della rumba:

  • lo yambù, molto coreografico, con figure aperte e senza contatto fra i ballerini;
  • la columbia, che serviva come dimostrazione di coraggio e di abilità atletica riservata ai maschi;
  • la rumba guaguancò, il genere più praticato, dove l’uomo inseguiva al donna alla ricerca del vacunao, ovvero il contatto con il bacino, mentre la donna cercava di sfuggirgli. In quast’ultima forma di ballo, la ballerina partecipava ad una sorta di corteggiamento audace, cercando solo di contenere gli atteggiamenti troppo focosi dell’uomo.

Per la loro carica erotica e per la difficoltà di esecuzione, queste versioni di rumba erano appannaggio solo delle classi sociali più povere che abitavano i quartieri popolari di Matanzas, città che ancora adesso è considerata la più nera di tutta Cuba. D’altra parte, nell’America dell’era coloniale, musica e danza sono state le espressioni predilette della gente di colore poiché costituivano uno sfogo alle sofferenze ed un modo per affermare la propria identità.

All’Avana, la capitale di Cuba, l’influenza musicale africana aveva dato anche origine al son, una sorta di rumba più pacata, apprezzata dalla piccola e media borghesia, mentre le classi sociali più elevate preferivano il danzón, ballo raffinato nato come reinterpretazione in “salsa” cubana della contraddanza europea che, asua volta, secondo gli studiosi, è alla base anche dell’habanera.

Per lungo tempo la rumba, intesa come musica e ballo dalle diverse anime, rimase confinata nella sua terra d’origine. Poi, con lo sviluppo del turismo statunitense in Sudamerica, il ritmo passò negli Stati Uniti. Con questo passaggio di frontiera, la rumba subì un’ulteriore evoluzione. A fianco di quella decisamente cubana, vivace e coreografica, si sviluppò una rumba americana dallo stile più contenuto, quale versione modificata del son. Il principale protagonista di questa diffusione fu Xavier Cugat, spagnolo di nascita ma cubano di adozione che, negli anni ’30 del secolo scorso, dopo aver esordito a Los Angeles, si stabilì a New York, esibendosi insieme alla moglie, la ballerina e cantante Abbe Lane. Divenuto popolarissimo, Cugat fu soprannominato “re della rumba”.

In Europa, il ballo giunse solo dopo la Seconda guerra mondiale. E nel 1947, in un congresso di maestri di ballo tenutosi a Milano, ne furono codificate le regole di base.


A cura di Alberto Soave


Fonti:

  • Guido Regazzoni, Massimo A. Rossi, Alessandro Maggioni –L’ABC del Ballo Moderno – Mondadori, Milano, 1998.
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