Balletto in un atto
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coreografia | John Butler |
Musica | Lee Hoiby |
Prma rappresentazione | Montecarlo, Harkness Ballet, 15 marzo 1966 |
Interpreti | Lone Isaksen, Lawrence Rhodes |
Scenografia | Rouben Ter-Aruturian |
Balletto per due personaggi che si muovono in un’atmosfera da “paradiso terrestre”. La soluzione narrativa è essenziale, ma l’effetto è intensamente drammatico. La narrazione inizia con la cacciata di Adamo ed Eva dal dall’Eden e prosegue attraverso la disperazione e la rassegnazione della coppia. nell’assumersi il peso di un’esistenza gravata da nuove responsabilità. Sulle loro teste pesa un interrogativo che domina la scena: quale sarà il loro futuro e quale destino riserverà loro questa nuova vita non più assolutamente libera e spensierata? I due esseri, messi a confronto, provano al contempo ripulsa e attrazione; nel processo di accettazione per ciascuno dei due della controparte sembra possibile cogliere il significato della condanna insita nella stessa nascita della coppia.
Il musicologo e critico Massimo Mila, che ebbe modo di vedere il balletto all’11° Festival dei Due Mondi di Spoleto, Teatro Nuovo, luglio 1968, nell’interpretazione dell’Harkness Ballet, così scrisse su “La Stampa” del 13 luglio 1968:
«… in apertura di programma un inaspettato e autentico capolavoro. È questo After Eden, lungo poema coreografico di John Butler per due ballerini… Sa il cielo quanto diffidiamo degli assunti teologici e metafisici affidati a gambe di ballerini. E qui le poche parole di spiegazione (“Dopo la cacciata dal paradiso terrestre… in un paesaggio desolato, una instrospezione…”) erano tali da accrescere del cento per cento i nostri timori. Invece parlare di capolavoro è assoluta giustizia. Tutto quel complesso di colpa, di rimorso e di disperazione lancinante per un sommo bene irrimediabilmente perduto, che si compendia nelle due parole del titolo, è pienamente reso in un discorso coreografico di straordinaria lena (il balletto dura un buon quarto d’ora, unicamente affidato ai due infaticabili protagonisti), senza una smagliatura tecnica, senza una sbavatura sentimentale, interamente risolto nella esatta perfezione di gesti coreutici. Lo stile della danza si fonda sostanzialmente sulla tradizione classica, ma arricchita d’una folla di vocaboli (ossia gesti) nuovi, perfettamente attendibili e significanti, che potrebbero inserirsi con estremo vantaggio su una musica più moderna di quanto fosse la partitura di gusto bartokiano, del resto decorosa, di Lee Hoiby…».
Il balletto, sempre in forma di duo, fu ripreso anche dal Nederlands Dans Theater nel 1971 e fu prodotto dalla Televisione di Colonia, con gli stessi interpreti della prima, nel 1969.
Nel 1979 alla Scala di Milano, ne venne presentata una versione con coreografia di Igal Perry. Interpreti Luciana Savignano e Dennis Wayne (sostituito poi da Marco Pierin).
A cura di Alberto Soave
Fonti:
- Alberto Testa, I Grandi Balletti. Repertorio di Quattro Secoli del Teatro di Danza, Gremese Editore, Roma 1191