Il movimento del corpo come voce di protesta sociale

La danza ha sempre rappresentato molto più di una semplice forma d’arte o intrattenimento; è un linguaggio universale capace di esprimere emozioni profonde, raccontare storie e, soprattutto, veicolare potenti messaggi di protesta sociale. Attraverso il movimento del corpo, individui e comunità hanno trovato un mezzo per comunicare dissenso, resistere all’oppressione e promuovere il cambiamento. Questo fenomeno attraversa culture ed epoche diverse, mettendo in luce il ruolo fondamentale della danza come strumento di trasformazione sociale.

Isadora Duncan

Fin dalle origini dell’umanità, il movimento corporeo è stato utilizzato per esprimere ciò che le parole non potevano. Le danze rituali nelle culture indigene servivano non solo a celebrare eventi importanti, ma anche a esorcizzare paure collettive o a invocare protezione contro minacce esterne. In molte società, la danza era ed è ancora oggi un mezzo per rafforzare i legami comunitari e trasmettere valori condivisi.

Durante la schiavitù nelle Americhe, gli schiavi africani portarono con sé le loro tradizioni danzanti, utilizzandole come forma di resistenza culturale. Nonostante le restrizioni imposte dai padroni, essi continuarono a esprimere la loro identità attraverso danze che simboleggiavano libertà e speranza. Ad esempio, il Ring Shout era una danza collettiva che combinava canto, battito di mani e movimenti circolari, permettendo agli schiavi di mantenere vive le loro radici africane.

Martha Graham nel 1946

All’inizio del XX secolo, la danza moderna emerse come una risposta alle rigidità del balletto classico, offrendo nuove possibilità espressive. Isadora Duncan, considerata la madre della danza moderna, credeva che il movimento dovesse scaturire dall’interiorità dell’individuo. Le sue performance, caratterizzate da movimenti fluidi e naturali, sfidavano le convenzioni sociali e artistiche dell’epoca. Martha Graham, un’altra figura centrale nella danza moderna, utilizzò le sue coreografie per esplorare temi profondi legati all’identità, al genere e alla psicologia umana. La sua opera “Lamentation” (1930) è un potente esempio di come la danza possa esprimere il dolore e la lotta interiore. Seduta su una panca, avvolta in un tessuto elastico, Graham utilizzava movimenti contratti per rappresentare il senso di prigionia e sofferenza, riflettendo le tensioni della società del suo tempo.

Un caso significativo è rappresentato da “Chronicle”, sempre di Martha Graham (1936), una coreografia che affronta temi come la guerra e l’oppressione. Creata in risposta all’ascesa del fascismo in Europa, l’opera utilizzava movimenti decisi e angolari per esprimere resistenza e determinazione. Graham dichiarò che la danza era un modo per riflettere sulle tragedie umane e promuovere la consapevolezza sociale.

Alvin Ailey fotografato da Carl Van Vechten

Negli anni ’60, la danza divenne un elemento chiave nei movimenti per i diritti civili negli Stati Uniti. Alvin Ailey, coreografo afroamericano, fondò l’Alvin Ailey American Dance Theater con l’obiettivo di promuovere la cultura afroamericana attraverso la danza. La sua opera più celebre, “Revelations” (1960), è una celebrazione della resilienza e della spiritualità della comunità nera. Attraverso una combinazione di gospel, blues e spirituals, Ailey raccontava storie di sofferenza e speranza, offrendo un potente messaggio di uguaglianza e giustizia.

Con l’avvento dei social media, i flash mob sono diventati strumenti efficaci per organizzare proteste pacifiche e attirare l’attenzione su cause specifiche. Queste performance collettive, spesso organizzate in segreto e rivelate all’improvviso in luoghi pubblici, creano un forte impatto visivo ed emotivo. Un esempio emblematico è “One Billion Rising” (2013), una campagna lanciata dalla scrittrice e attivista Eve Ensler per protestare contro la violenza sulle donne. Il 14 febbraio 2013, donne e uomini di oltre 190 paesi parteciparono a eventi di danza collettiva, trasformando piazze e strade in spazi di solidarietà e rivendicazione.

Un’altra performance significativa è “Un violador en tu camino”, creata nel 2019 dal collettivo cileno Las Tesis. La danza, accompagnata da un canto che accusa direttamente le istituzioni di perpetuare la violenza di genere, fu eseguita per la prima volta a Santiago del Cile durante le proteste contro il governo. La semplicità della coreografia e la forza del messaggio permisero alla performance di diffondersi rapidamente a livello internazionale, diventando un simbolo della lotta femminista.

Red Rebel in Svezia (foto di Stefan Rouden da Flickr)

Anche l’attivismo ambientale ha trovato nella danza un mezzo espressivo efficace. Extinction Rebellion, movimento ambientalista nato nel Regno Unito, ha utilizzato la danza come parte delle sue azioni di protesta. I “Red Rebels”, figure silenziose vestite di rosso, rappresentano il sangue della Terra e la sofferenza causata dall’emergenza climatica. Muovendosi lentamente e con gesti solenni, i “Red Rebels” creano immagini potenti che attirano l’attenzione dei media e del pubblico, sensibilizzando sulla necessità di agire per il pianeta.

In contesti post-conflitto, la danza può essere un mezzo per elaborare traumi e ricostruire legami comunitari. In Rwanda, dopo il genocidio del 1994, programmi di danza-terapia hanno aiutato le persone a esprimere emozioni complesse e a promuovere la riconciliazione tra gruppi etnici. Attraverso danze tradizionali e moderne, i partecipanti hanno potuto condividere esperienze, superare barriere e costruire un futuro comune.

Nonostante il potere trasformativo della danza, esistono anche sfide e criticità. L’utilizzo di stili di danza provenienti da diverse culture solleva questioni etiche riguardo all’appropriazione culturale. È fondamentale che gli artisti rispettino le origini culturali delle danze che adottano, evitando di banalizzarle o distorcerle. Inoltre, in alcuni contesti autoritari, la partecipazione a danze di protesta può esporre gli individui a rischi significativi, come arresti o violenze. In Iran, ad esempio, un gruppo di giovani fu arrestato nel 2014 per aver pubblicato un video in cui ballavano sulla canzone “Happy” di Pharrell Williams, evidenziando i pericoli associati all’utilizzo della danza come forma di espressione in certi paesi.

La tecnologia ha amplificato il potenziale della danza come strumento di protesta. Le piattaforme social, come YouTube, Instagram e TikTok, permettono la diffusione virale di performance che possono raggiungere un pubblico globale. Inoltre, le tecnologie emergenti come la realtà virtuale offrono nuove modalità espressive, creando esperienze immersive che coinvolgono gli spettatori a un livello più profondo. Un esempio è la “Jerusalema Challenge” (2020), nata durante la pandemia di COVID-19. La canzone “Jerusalema” del musicista sudafricano Master KG ha dato vita a una sfida di danza globale, con persone da tutto il mondo che hanno condiviso video in cui ballavano seguendo una semplice coreografia, diffondendo un messaggio di speranza e solidarietà in un momento di isolamento sociale.

Video del Jerusalema Challege

Guardando al futuro, la danza continuerà a evolversi come strumento di protesta e cambiamento sociale. Collaborazioni interdisciplinari tra artisti, attivisti e tecnologi possono generare nuove forme di espressione. È essenziale promuovere l’accessibilità alla danza, incoraggiare la partecipazione di diverse comunità e utilizzare il potere del movimento per affrontare le sfide globali.

In conclusione, il movimento del corpo come voce di protesta sociale rappresenta una forma di espressione unica e universale. Attraverso la danza, le persone possono comunicare oltre le parole, toccando corde emotive profonde e stimolando riflessioni importanti. Che si tratti di denunciare ingiustizie, promuovere cause sociali o semplicemente esprimere solidarietà, la danza continuerà a essere un potente mezzo per dare voce a chi spesso non ne ha.


Bibliografia

  • Banes, Sally (1998). Dancing Women: Female Bodies Onstage. Routledge.
  • Butterworth, Jo & Wildschut, Liesbeth (2018). Contemporary Choreography: A Critical Reader. Routledge.
  • Dunagan, Colleen (2019). Dance and the Social City. Palgrave Macmillan.
  • Foster, Susan Leigh (2011). Choreographing Empathy: Kinesthesia in Performance. Routledge.
  • Jackson, Naomi M. & Shapiro-Phim, Toni (2008). Dance, Human Rights, and Social Justice: Dignity in Motion. Scarecrow Press.
  • Karatzogianni, Athina & Robinson, Andrew (2010). Power, Resistance and Conflict in the Contemporary World: Social Movements, Networks and Hierarchies. Routledge.
  • Monteiro, Maria (2015). “Dance as Protest: The Power of Movement in Political Struggles”. Journal of Social Movements, 12(3), 45-62.
  • Sherman, Jane (2016). Denishawn: The Enduring Influence. Wesleyan University Press.
  • Thomas, Helen (2003). The Body, Dance and Cultural Theory. Palgrave Macmillan.

Siti web per ulteriori approfondimenti

[Nella foto in alto: Un violador en tu camino]

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