Trionfo del Corpo di Ballo in Sylvia alla Scala
Se Čajkovskij rimase entusiasta della musica di Sylvia di Delibes ascoltata a Vienna l’anno successivo alla prima rappresentazione del balletto non è certo un fatto secondario. La musica di Sylvia è senza dubbio stata uno dei fattori di successo di questo balletto che invece da un punto vista coreografico quando uscì non convinse molto. La creazione di Luois Mérante del 1876 senza particolare inventiva, a cui la musica rubava la scena, non stimolò neppure molti coreografi dopo di lui e bisognerà aspettare Ashton nel 1952 e poi Neumaier nel 1997 per poter riassaporare questo balletto in forma rivista e corretta.
Ma la Scala ha voluto, diciamo così, guardare indietro nel tempo e riproporre qualcosa di filologico che riportasse all’ultimo periodo dell’800 per questo ha chiamato Manuel Legris che ha voluto ridare vita a Sylvia rappresentandolo nella sua forma più tradizionale e fedele alla danza classica francese dell’epoca. Coreografia che Legris aveva attuato per il Balletto della Staatoper di Vienna di cui è direttore dal 2010. Legris resta ligio al linguaggio coreografico classico, ma sicuramente dà una notevole freschezza a tutto ciò che vediamo soprattutto per quanto riguarda le parti danzate dal corpo di ballo. Così come valorizza le danze dei Fauni del secondo atto per cui è stato ispirato dalle danze tipiche dei baccanali. Tutto questo crea uno splendido effetto primordiale e carnale che dà sprint al balletto.
In questa sua operazione a Milano il coreografo francese ha avuto una fortuna, quella di trovarsi a lavorare con un corpo di ballo eccezionale perchè i giovani elementi che attualmente lo compongono hanno risposto a pieno alle sue esigenze.
Legris rielabora la storia concatenando le scene in modo che l’espressione dei sentimenti degli interpreti principali sia valorizzata, ma non tralascia affatto i ruoli corali. Anzi! Ogni variazione solistica richiede un alto livello tecnico, ma non sottovaluta le scene d’insieme che esigono altrettanta consapevolezza ed espressività da parte del corpo di ballo.
Infatti potremmo affermare, senza ombra di dubbio, che quanto si è visto alla prima della Stagione del Balletto martedì sera è stato proprio il trionfo del Corpo di Ballo scaligero, di cui non si può che far lode al suo Direttore Frederic Olivieri. Cacciatrici, ninfe, fauni, satiri e contadini eranoimpeccabili, freschi ed entusiasmanti.
Ma veniamo ai ruoli principali: se non possiamo fare a meno di riconoscere il già affermato valore tecnico tanto di Martina Arduino che di Claudio Coviello, rispettivamente nei ruoi protagonistici di Sylvia e Aminta, abbiamo invece il dovere ed il piacere di riconoscere che martedì sera le vere star sono state Christian Fagetti e Nicola del Freo. Fagetti è antrato in scena con una prestanza singolare che ha mantenuto in tutto lo spettacolo presentandoci un Orione aitante, forte ed accattivante tanto da farci pensare: “Ma perchè Sylvia non lo preferisce ad Aminta?”. A questo va aggiunto il suo valore tecnico che si sta affinando sempre più.
Nicola del Freo, già molto apprezzato nel ruolo di Lenskij in Onegin, qui è Eros e non è facile essere un dio in palcoscenico. Ma il ballerino che si è formato alla Hamburg Ballett Schule John Neumeier proseguendo poi gli studi presso la Yorkshire Ballet Summer School, è stato in grado di sostenere egregiamente il ruolo anche lui come Fagetti per le ottime qualità tecniche abbinate a prestanza espressiva. Bravi davvero tutti e due.
Non sono passati inosservati neanche Federico Fresi nel ruolo del Fauno e Antonella Albano in quello della Contadina che la prima ballerina della Scala ha sostenuto con la grazie e leggerezza di sempre accompagnata all’ironia che le è consueta.
Indubbiamente uno spettacolo di pregio in cui Legris è stato capace di rendere alla danza ciò che essa continua a dare senza riserve, come scrive Jean Francois Vazelle.
Francesca Camponero
[In alto: Christian Fagetti (foto Brescia-Amisano)]