Nicoletta Manni e Timofeij Andrijashenko incantano il pubblico in Giselle
È vero che Giselle è il balletto romantico per eccellenza, è vero che Giselle è stato eseguito da molti intepreti famosi o meno, è vero che Giselle riempe le platee, ma ricordiamo che Giselle è un balletto complicatissimo che mette a dura prova i ruoli dei protagonisti. Come sappiamo tutti infatti il balletto è diviso in due atti completamenti diversi fra loro in cui non sono richieste solo qualità puramente tecniche, ma anche grande espressività che delinei i caratteri e la psicologia dei personaggi che vivono quella storia fatta di amore, gelosia, rimorso e follia.
Interpretare Giselle non è una passeggiata per la prima ballerina, né per chi sostiene il ruolo di Albrecht. La prova del nove in questo balletto più che in altri è il confronto con l’emozione del pubblico, un esame che non mente mai. Ebbene ieri, giovedì 3 ottobre (ore 14.30), Nicoletta Manni e Timofeij Andrijashenko hanno superato egregiamente questa prova regalando ai presenti momenti molto commoventi e suggestivi.
La coppia è stata in grado di affrontare eccellentemente un testo coreografico e drammatico assoluto come quello di Coralli-Perrot, che possiamo affermare tranquillamente stare al teatro di danza come Amleto a quello di prosa. Qui infatti danzare diventa modo unico e insostituibile di “essere” fino in fondo i personaggi, tirando fuori tutti i colori che fanno parte dei caratteri di questi, tirando fuori tutte le paure, ansie, passioni e dolori che racconta la favola di Gautier.
Quello che deve emergere, oltre all’ineccepibilità tecnica, è l’intima coerenza nell’immedesimazione di un ruolo che esige un ampio ventaglio di sfumature e chiaroscuri, e che deve erompere naturalmente senza alcuna finzione o manierismo, in un vortice crescente fino alla fine. Quanto accade nella storia di Giselle è un’alchimia di istinti che sfoga in emozioni potenti che vanno esternate col supporto del cuore.
Nicoletta Manni, bella e fresca come una vera Giselle, affascina dalla sua prima entrata in scena. È indubbio che lei è diversa dalle altre ragazze del villaggio, è indubbio che il Principe travestito da contadino vuole far colpo su di lei e farla innamorare. La sua ingenuità rapisce tanto nei passi, assolutamente perfetti, quanto nel volto. Il suo sorriso incantevole è spiazzante e fa innamorare chiunque la guardi danzare. Dal canto suo Timofeij Andrijashenko non è certo da meno. Bello, biondo, dal fare elegante, Andrijashenko è un vero principe in tutto e per tutto. Ogni suo movimento è eseguito con pulizia e classe. Vederlo danzare è “una poesia in cui ogni parola è un movimento” come direbbe Mata Hari, ed ecco che il connubio fra i due ridona al balletto del 1841 quella freschezza che lo ringiovanisce e rende più che mai attuale.
Nessun effettismo, solo lievità pura e sincera. I due giocano (inteso come jouer) un recitar-danzando a tratti sublime. L’intensità del loro lavoro ha una forza magnetica che spesso fa venire i brividi e ci fa pensare che, se continuano così, non sarà tardi che questi due straordinari ballerini avranno il giusto riconoscimento di étoiles.
Ma se senza dubbio si resta rapiti dall’esecuzione dei due protagonisti, non si deve dimenticare anche l’eccellente prova che ha dato l’intero Balletto della Scala, che, soprattutto nel secondo atto, ha dimostrato grande lirismo all’interno dell’atto bianco in cui le ballerine, in punta di piedi e con tutù lungo, diventano personaggi eterei, come immateriali, espressione di un ideale romantico languido e decadente.
E se a soffrire nel primo atto è Giselle, nel secondo è Albrecht, e con lui tutti noi coinvolti fino alla fine nella tragedia di quell’amore vessato dalle gelosie e dalle incomprensioni, che si riconcilia e si eleva ai massimi splendori soltanto quando ormai non v’è più nulla da fare.
Lo spettacolo sarà ancora sul palco della Scala fino a matedì 8 ottobre.
Francesca Camponero