L’Aida al Carlo Felice si perde in un un Egitto futuristico – metafisico
Chi è andato alla prima di Aida al Carlo Felice ieri sera se l’è davvero conquistato, vale a dire che non è stato facile raggiungere l’entrata del teatro con la ressa delle persone accalcate in P.zza de Ferrari per i fuochi d’artificio in programma alle 18,15 ( lo spettacolo iniziava alle 19) e poi, una volta dentro, è stata davvero un’avventura riuscire a depositare cappotto o impermeabile al guardaroba dove, fino a 10 minuti prima dello spettacolo, si sono formate code interminabili dovute al poco personale addetto. Fatto imperdonabile soprattutto quando in un teatro dalla capienza di 2000 posti è previsto il sold out!
Ma andiamo avanti con la serata. Sapevamo tutti che questa Aida sarebbe stata diversa dalle altre soprattutto per la creazione visiva-scenografica realizzata da Monica Manganelli, un progetto azzardato che ha fatto tremare fino a qualche minuto prima dello spettacolo anche il sovrintendente Roi che rilasciando l’intervista alla giovane collega di Primo Canale ha chiuso con un”merde” nella speranza andasse tutto bene. E, in fondo, tutto bene è andato.
Questo non vuol dire che questa Aida si possa definire un esperimento riuscitissimo, perchè tante sono le pecche all’interno di questo allestimento. Iniziamo proprio dall’azzardata operazione scenografica. L’immaginario egiziano futuristico e irreale, che richiama film di genere science-fiction, con l’intento di creare meraviglia visiva e stupore agli occhi dello spettatore della Manganelli è indubbiamente stupefacente, ma anche molto distraente e in alcuni momenti anche fastidioso agli occhi. In più toglie tutti iriferimenti ai cantanti che non hanno possibilità di movimentare recitando il loro cantato. Non ci sono né porte da aprire, né colonne a cui poggiarsi, né quinte da cui uscire o entrare, il tutto è una scatola vuota su cui girano incessantemente filmati coloratissimi ed abbaglianti. Quindi conseguenzialmente vi è ben poca regia se non nei punti dove sono in scena i quindici ragazzi di colore che dànno un po’di vita al tutto.
Ma opera lirica vuol dire musica e canto pertanto arriviamo alla prestazione dei cantanti. L’ingresso di Marco Berti, Radamès, nella difficile entrata con “Celeste Aida” è stato deludente, eppure il tenore comasco nella sua carriera si è cimentato con diversi ruoli verdiani ottenendo forti consensi, ma ha 56 anni e la sua voce non è sembrata pronta alla romanza del I atto. Per fortuna si è andata scaldando ed è migliorata soprattutto nel duetto con Amneris nell’ultimo atto.
Ma neppure Svetla Vassileva, al suo debutto in Aida, ha convinto. La sua è una bella voce ma non adatta al ruolo della protagonista, troppo sottile e stridula negli acuti, oltre ad essere impastata nelle parole che arrivavano incomprensibili. Molto più convincente Judit Kutasi, Amneris, un mezzo soprano dalla voce forte e calda molto suadente ed invece adeguata al ruolo della figlia del faraone sfortunata in amore. Ottimo anche Angelo Veccia, Amonasro, capace di entrare in scena a freddo con voce pronta e decisa.
Ma la grande attesa del pubblico era per la marcia trionfale del II Atto in cui abbiamo apprezzato i baldanzosi squilli delle trombe posizionate sui poggioli in alto ai lati del palcoscenico, ma molto meno la danza che non offriva un grande schema coreografico e si è solo avvalsa sulla bravura degli elementi del Corpo di Ballo dell’Opera di Tirana a cui bastava poco per tirar fuori la loro preparazione tecnica ed atletica anche se utilizzati come poco più di mimi.
Il terzo atto è senza dubbio quello più riuscito sotto tutti i punti di vista. Buono il canto dei due innamorati condannati a morire sepolti vivi che si spegne, morbido e dolce, all’interno di una tomba che gli effetti speciali chiudono via via con pannelli rossi, mentre chi resta, la triste Amneris, sussurra la parola che, nel mondo feroce di Aida, può essere solo una speranza: «pace».
Lo spettacolo resterà in scena fino a domenica 16 dicembre con l’alternarsi del cast.
Francesca Camponero