Imre Thormann e il suo danzare Butoh
Andare a vedere uno spettacolo di danza Butoh non è come andare a vedere uno spettacolo di danza contemporanea. Andare a vedere uno spettacolo di danza Butoh richiede una grande preparazione sull’argomento e, francamente, non so davvero quanti si accingano alla visione di una performance del genere col giusto equipaggiamento culturale.
Per cominciare è opportuno sapere cosa significa Butoh, il che è già molto esplicativo del tutto. La parola Butoh è formata dagli ideogrammi bu e toh. Bu si riferisce agli arti superiori ed indica il contatto con il cielo, l’apollineo, toh rimanda agli arti inferiori, al calpestio dei piedi e al legame con la terra, il dionisiaco.
Ma altra cosa importante di cui tener conto è che il Butoh impone l’immobilità nella danza, il che può apparire paradossale visto che la danza è movimento. Il Butoh quindi è qualcosa di assolutamente rivoluzionario, un fenomeno eversivo, quasi eretico rispetto a qualunque cultura orientale ed occidentale.
Il fatto che sia nato in Giappone nel dopoguerra non è certo a caso. Il dopoguerra per il Giappone, non dimentichiamolo mai!, significa soprattutto “dopo Hiroshima”. C’era bisogno di dimenticare, di cambiare e riscattarsi anche nelle forme artistiche ed il Butoh degli inizi fu una risposta radicale all’idea occidentale della danza. Era la giapponese “ribellione del corpo”. Era pura provocazione, resistenza contro l’ establishment culturale ed il sistema sociale. I volti dipinti, le teste rasate, la nudità dei danzatori di Butoh, le distorte coreografie crearono infatti un forte contrasto con l’estetismo della danza tradizionale.
Detto questo si può pensare di assistere a “Enduring Freedom”, ultima creazione di Imre Thormann, con maggiore consapevolezza. Il danzatore di Berna classe 1966, studioso di arti marziali, dopo una carriera senza successo in una punk band, si è recato in Giappone dove è stato allievo del fondatore del Butoh, Kazuo Ohno, e poi di Michizou Noguchi. Thormann era già venuto in Italia con questo suo lavoro in prima nazionale per la VII edizione del festival “Testimonianze ricerca azioni” promosso da Teatro Akropolis nel 2016 e oggi è tornato a presentare la sua performance a Palazzo Ducale in una giornata interamente dedicata alla danza Butoh, sempre a cura di Teatro Akropolis.
Solo 40 persone di pubblico che prima di entrare in sala devono indossare una tuta di garza bianca con cappuccio. Le sedie sono sistemate in fila intorno ad un rettangolo di neon sul pavimento di marmo. Questo è lo spazio in cui entra Imre Thormann. È vestito come andasse a fare una passeggiata in montagna: giacca a vento, maglione a collo alto, jeans, maglietta e scarponcini da trekking. Si va a sedere in un angolo, su una sedia in ferro e dopo un respiro di silenzio comincia a togliersi tranquillamente gli abiti, uno ad uno, comprese le mutande. Rimasto completamente nudo comincia a far tremare il corpo, inteso come organi, ossa e muscoli, come mosso da una forza ancestrale. Il suo essere si annienta e liberato può tutto. Enduring freedom è indibbuamente un viaggio di liberazione interiore ed esteriore.
Thormann esterna il proprio modo di sentire lontano dal formalizzarsi in una tecnica, del resto il Butoh è questo. Incurvato, contratto, ventre piatto, testa pelata, si riscopre un uomo primordiale in continua metamorfosi. Il volto passa dal tragico al comico, i suoi arti si contraggono e si rilasciano secondo una logica lontana che forse non capiremo mai. Diventa piccolo, poi grande in un disegno inspiegabile ed irragiungibile per i comuni mortali. L’unico rumore quello delle sue ginocchia quando si butta con violenza a terrra, dove si trascina lasciando scie di sudore che scendono soprattutto dalla testa e dal volto segnato come da lacrime. Il suo corpo cade, ma non si spezza, anzi sembra trovare sempre più forza e vitalità da un dolore interno che fa male. Alla fine si alza dall’ultima sua posizione fetale per tornare verso la sua sedia nell’angolo, si riveste ed esce dal quadro per terra con l’indiffernza con cui era arrivato.
Il pubblico applaude , ma lui non torna a prendere gli applausi. Forse troppo terreno il tripudio per lui.
Francesca Camponero
[In tutte le fotografie: Imre Thormann]