Abballamm’!, al Ravello Festival due spettacoli di danza all’insegna del karma
La danza del Ravello Festival corre veloce, anzi sale su veloce per i tornanti che conduce l’appassionato pubblico sul belvedere più bello del mondo, quello di Villa Rufolo naturalmente. Centinaia di persone si assiepano ormai dal 2 luglio, ovvero da quando s è aperto idealmente il sipario sulla sessantacinquesima edizione del festival wagneriano sempre associato alla musica ma, ultimamente, sempre di più anche all’arte coreutica. Anche e soprattutto per merito della direttrice artistica Laura Valente che si schernisce degli oggettivi meriti per aver risalito la china tersicorea a passi da gigante.
Ma entriamo nel merito, quello del quarto appuntamento di sabato 22 luglio con il fiore all’occhiello della direzione artistica, centrato per il secondo anno consecutivo sulla formazione a tutti i costi del progetto “Abballamm’!” e stavolta abbinata a due titoli davvero innovativi: “Palestinian karma” e “Revolving karma”.
Il primo titolo della serata, proposto da Bassam Abu Diam per la compagnia palestinese Sareyyet Ramallah, è stato dedicato al tema dei muri da abbattere e alle storie di emigrazioni ed integrazioni. Qui tutti insieme hanno lavorato gli allievi dell’Accademia Nazionale di Danza di Roma a braccetto con danzatori malesi e palestinesi in un progetto senza confini concepito proprio per la trasversatilità dei contenuti e degli uomini e delle donne coinvolti per l’abbattimento di tutti i muri del mondo. Almeno così l’ha pensata Bassam Abu Diam, stando alle sue dichiarazioni rilasciate appena giunto a Ravello: in questa serata particolare porta sul palco di Ravello giovani artisti provenienti da tre paesi con le loro lingue e la loro cultura impegnati in un gioco di relazioni a tre a due e di gruppo dove l’identità comune si ritrova nella terra e nel corpo con le sue parti nel tentativo di distribuirne il peso oscillante tra il qui e l’altrove, il sotto e il sopra, l’orizzontalità e la verticalità, il vicino e il lontano. È la storia di una umanità contemporanea stretta tra il perimetro circoscritto dell’identità etnica e lo spazio fluido della globalizzazione. “Palestinian karma” inoltre, racconta anche il paradosso di una realtà dove gli incontri avvenuti, impossibili al di fuori del progetto, sono quel limite che lo stesso si è imposto di superare.
Limiti invalicabili che ha condotto alla riflessione anche Fabrizio Esposito, coreografo del secondo titolo della serata a tema karma. Il suo “Revolving karma” ha un protagonista che fa i conti con la storia e con i muri di cui Ravello si è fatta portatrice sana di immaginifici anticorpi coreutici. Come ci spiega lo stesso Fabrizio Esposito, il pretesto narrativo che ho usato è stato quello della leggenda di Tirreno. Questa figura mitica – interpretata sulla scena da Riccardo Esposito – è descritta in vari frammenti di opere e autori antichissimi, come Dionigi di Alicarnasso o Strabone, e possiamo forse definirlo il primo migrante della storia. La leggenda di Tirreno, infatti, racconta di come suo padre Atys, re di Lidia, ne estrasse a sorte il nome tra i figli e lo spedì con parte della popolazione “aldilà del mare”, a cercare un futuro migliore lontano da una terra flagellata dalla carestia. Quel mare prenderà proprio il nome del giovane migrante, che si troverà costretto a lottare contro gli ostacoli naturali, come le tempeste, le onde, la siccità, prima di sbarcare su quelle che sono le attuali coste della Toscana. Lì combatte contro i popoli autoctoni e muore prima di vedere compiuta la sua missione. Sarà il figlio Tarconte (in altre versioni indicato come un fedele compagno) a portare a termine tutto, a fondare nuove città governate dal vecchio popolo di Lidia e a dare origine a quella che sarà ricordata come la civiltà etrusca. A quel punto, saranno proprio i nuovi arrivati ad adottare i comportamenti di chi li aveva osteggiati fino a quel momento e ad alzare nuovi muri. E se vogliamo dirla tutta, gli Etruschi sono stati poi spazzati via dai Romani…
Non ci resta che attendere l’ultimo appuntamento con “Les Italiens del’Opéra” diretti da Alessio Carbone, interprete assai amato da queste parti. Qui si scaleranno le Alpi per ricondurre a casa uno stuolo di danzatori italiani in organico nella compagine del Teatro dell’Opéra di Parigi. Ma quella è un’altra storia, ben successiva a quella del Tirreno di Fabrizio Esposito.
Massimiliano Craus
[In alto, Palestinian dance school (foto di Palestine Monitor)]