Rudolf Nureyev, il grande divo del Festival di Nervi
Ventiquattro anni fa esatti, il 6 gennaio del 1993, se ne andava il più grande ballerino del novecento (se non di tutti i tempi) Rudolf Nureyev, e per questo abbiamo pensato fosse giusto dedicare a lui questo appuntamento di queste nostre pagine dedicate al Festival Internazionale del Balletto di Nervi.
Di Rudolf Nureyev, si è parlato tanto e di più, ed il perché è facile da intendersi: oltre al suo straordinario talento Nureyev è stato indubbiamente l’icona di un modo diverso di vivere nel mondo della danza. Rudy infatti non è stato solo un “genio della danza” o “l’erede naturale di Nijinsky”, come lo chiamano in molti, ma soprattutto uno straordinario anticonformista. Il suo essere libero e ribelle lo ha reso unico segnando profondamente la storia del balletto con le sue innovazioni coreografiche che esaltavano la figura del ballerino maschio, cosa che per altro lo avvicina ulteriormente a Nijinsky che aveva fatto lo stesso mezzo secolo prima.
Il suo nascere su un treno della Transiberiana sembra quasi fosse una premonizione di quella che sarebbe stata la sua vita futura, piena di viaggi in ogni parte del mondo, che lo facevano salire e scendere con le valigie da un teatro all’altro, tanto è vero che spesso scherzando diceva. “Quando sarò morto, se mi erigerete una statua fatela che mi mostra con due valigie, pronto a partire, perchè quella è la storia della mia vita”. Indubbiamente il viaggio più importante lo compì il 17 giugno del 1961, quando durante una tournée del Kirov a Parigi, Nureyev si decise a restare lì, chiedendo asilo politico. In questo modo fuggiva dalla Russia e da ciò che non gli andava più a genio.
Il primo ad accoglierlo in una compagnia fu Raimondo De Larrain, direttore della Compagnia del Marchese di Cuevas e Mario Porcile non si fece scappare l’occasione di mettersi d’accordo con il Marchese e portarlo al suo festival. Dopo infinite telefonate, lui e il Marchese riuscirono ad inserirlo nella tournèe della Compagnia De Cuevas insieme ad un cast che si può considerare più unico che raro che ne La Belle au bois dormant a programma comprendeva anche Erik Bruhn, Serge Golovine, Yvette Chauvirè, Rossella Hightower e Genia Melikova.
Mario Porcile mi raccontò che non si fece alcuna pubblicità alla cosa proprio per evitare problemi diplomatici tra Est e Ovest, essendo Nureyev diventato un “rifugiato politico” e forse nessuno di loro, pur apprezzando già il danzatore russo, avrebbe immaginato che di lì a poco sarebbe diventato una vera e propria star del mondo occidentale. Porcile raccontava anche che inizialmente Rudolf non tirò subito fuori il suo caratterino, anzi sembrava molto timido e remissivo. Ma di lì a breve il ragazzo mostrò il suo temperamento iniziando a fare capricci ai quali solo la flemma inglese di Mario Porcile sapevano tener testa.
Rudolf era tanto bravo quanto ingestibile ed era davvero un problema relazionarsi con lui. Solo un’altra persona oltre a Porcile lo sapeva pendere ed era Margot Fonteyn, la stella della danza inglese. Con Margot Nureyev creò un’intesa particolare che fece di loro la coppia più illustre della danza della seconda metà del XX secolo. La loro collaborazione era una delle cose di cui il ballerino andava più fiero: “Ballare con Margot è come percorrere lo stesso sentiero, quando danziamo insieme c’è un unico obiettivo e una sola visione delle cose, non c’è niente che ci divida”.
Nervi ricorda bene questa straordinaria coppia quando il luglio del 1962 si presentò con la Compagnia del Royal Ballet in un memorabile Lago dei Cigni che fece scalpore. Margot parlava così di Nureyev: “Non ho mai incontrato un professionista simile, pretendeva la massima precisione da sé come dagli altri. Delle volte era anche sgradevole con certe sue osservazioni, ma erano azzeccate. Diciamo che qualche volta mi obbligava con dolcezza a ripensare al mio repertorio”. Tra i due, sappiamo, ci fu un legame profondo, che li tenne uniti sulla scena per molti anni.
Nureyev tornò a Nervi per l’ultima volta nel 1970 e Mario Porcile raccontò che proprio in una delle sue ultime rappresentazioni fu colto da malinconia, tanto da non riuscire ad entrare in scena. Il direttore del festival si preoccupò non poco del fatto e come al solito ci vollero tutte le parole più dolci ed affettuose per ridare coraggio a quel leone impaurito accovacciato per terra. Per fortuna dopo un intervallo un po’ più lungo del solito il grande ballerino spuntò sul palco e fu il successo di sempre.
Vogliamo ricordare questo grande artista (che Porcile definiva “il principe tartaro”) con queste sue parole: “Io lavoro e ballo con le mie energie mentali, i miei muscoli sono solo un mezzo per esprimermi. La danza è tutta la mia vita. Devo portare fino in fondo questo destino. Forse la danza è la mia condanna, ma anche la mia felicità. Se mi chiedessero quando smetterò di danzare, risponderei: quando smetterò di vivere”.
Francesca Camponero
[Foto in alto: Nureyev in prova a Nervi con Margot Fonteyn © Colin Jones]
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